La cultura della dieta e il privilegio dei magri

Natale è ormai alle porte, un Natale anomalo e meno conviviale del solito ma pur sempre Natale. Nell’immaginario comune questo tipo di festività si traduce in poche immagini: luminarie più o meno kitsch per le vie delle città, regali sotto l’albero e, ovviamente, interminabili panettoni e pandori assaporati per la prima volta a inizio dicembre e di cui ci si libera difficilmente prima della metà di gennaio. Se l’Italia è la patria del buon cibo, attorno a cui sembra prendere forma la società nelle sue diverse sfaccettature, le feste sono l’occasione ideale per darne sfoggio. Eppure anche in un periodo così luminoso, non mancano ombre. 

Per quanto la maggior parte di noi sia stato socializzato fin dalla tenera età a pensare ai piatti della nonna come coccole a cui non poter dire di no, crescendo la dialettica sul cibo con cui si viene a contatto cambia radicalmente. Prima ancora di aver preso posto al pranzo di Natale, ci si è già chiesti più di una volta come fare a smaltire i chili che, inevitabilmente, si saranno presi durante le feste, quante volte si sarà costretti ad andare in palestra e a fare rinunce a tavola per rimediare nel minor tempo possibile alle indulgenze natalizie. Così, senza che nessuno riesca davvero ad accorgersene, ci ritroviamo immersi in una cultura del tutto diversa e senza dubbio nociva rispetto a quella che ci raccontiamo: la cultura della dieta.

Radicata nella logica grassofobica, tristemente diffusa nella nostra società e coerentemente alla quale fatichiamo anche solo a utilizzare l’aggettivo «grasso» per descrivere corpi «diversamente magri», la cultura della dieta agisce a livello inconscio negli individui, orientandone l’azione quando rifiutano una fetta di panettone ad esempio. Nonostante ciò è qualcosa di estremamente sociale e collettivo. Che lo si voglia ammettere o meno, l’estetica o, per meglio dire, un certo tipo di estetica è ancora l’elemento che più di altri pervade e caratterizza i rapporti sociali. In quest’ottica chi è magro, è anche automaticamente privilegiato e visibile agli occhi degli altri come meritevole di una qualche attenzione, chi invece è grasso, o anche solo non magro abbastanza, è collocato ad un gradino inferiore della desiderabilità sociale. In un certo senso è come se si suggerisse una pericolosa sovrapposizione tra la dimensione dell’estetica individuale e quella collettiva della performatività.

Quando si parla di cultura della dieta si tende istintivamente a pensarla nei termini di un’esperienza estremamente intima di chi, in modo evidente agli occhi degli altri, ne appare vittima, eppure la cultura della dieta agisce in modo tutt’altro che manifesto. Assimilata pienamente nei discorsi e nelle pratiche della quotidianità, le dinamiche tossiche che ne sono espressione agiscono piuttosto indisturbate nel substrato della socialità. Cosa fare per contrastarle? Parlarne, da magri riconoscendo il proprio privilegio in un mondo fatto a misura per noi e da grassi rivendicando il proprio diritto ad essere visibili per qualcosa che non sia il nostro corpo. Se anche mangiare deve diventare un atto politico, allora che il pranzo di Natale sia l’occasione per smascherare la logica tossica della cultura della dieta e affrontare il susseguirsi infinito di portate senza sensi di colpa.