La manovra correttiva: tra promesse e realtà

«Evviva, è calato lo spread! Visto? La Ue ha certificato la nostra responsabilità». «Grazie, finché tagliate 4 miliardi all’istruzione. Risparmiando sulle spese era ovvio che calasse». Esultano Conte e Tria, un po’ meno i vicepremier Di Maio e Salvini, che sono assenti al momento del voto sulla manovrina ma rivendicano con forza lo stop della Commissione Europea alla procedura d’infrazione. Attaccano invece le opposizioni, che accusano il Governo di fare la voce grossa con gli organi Ue ma di mancare reiteramente nei fatti, rispetto a quanto promesso.

La verità, come sempre, sta nel mezzo e la si trova guardando i numeri della manovrina votata nella serata di lunedì 1 luglio, con Di Maio che diserta il CdM e Salvini che se ne va indispettito poco dopo l’inizio. Perché questa fuga? Per convincere Bruxelles della liceità delle azioni del Governo, si è resa necessaria una correzione del Def varato in aprile, che a sua volta era già più realista rispetto alla Finanziaria varata a fine 2018. Le previsioni sulla crescita del Pil, infatti, erano molto più rosee di quanto si sia riscontrato nella realtà: non possiamo dire che la colpa sia solamente del Governo, perché nel mentre è nata una guerra dei dazi tra Usa e Cina che tutt’ora rallenta l’economia globale, ma possiamo dire che il Mef era stato spregiudicatamente ottimista.

Da qui, il contenuto della correzione: per tagliare il deficit, che era cresciuto al 2,4 rispetto al 2% messo nero su bianco a dicembre, sono stati messi sul piatto 7,6 miliardi. Da dove arrivano questi soldi? La voce più importante sono le maggiori entrate, il recupero del sommerso e l’incasso di dividendi: ben 6,1 miliardi in più del previsto, che son riusciti a coprire anche i tagli inizialmente previsti al trasporto pubblico locale (300 milioni), con le Regioni che ringraziano, e alle Politiche Sociali, tra cui rientra il bonus 18enni. Rientrano in questa quota anche gli 800 milioni richiesti alla Cassa Depositi e Prestiti.

La quota più alta di «tagli», invece, riguarda i risparmi derivanti dalle minori richieste per il Reddito di Cittadinanza e la Quota 100, le due misure principali della Manovra. A causa dei troppi paletti o per altri motivi, anche puramente personali, sono rimasti inutilizzati 1,5 miliardi di euro per il 2019. Proprio quelli che Di Maio proponeva, con forza, di reinvestire subito in politiche per la famiglia, alla fine hanno trovato questa collocazione: andranno a ridurre il debito. Nel lungo termine (triennio 2019-2021), inoltre, si prevede che almeno 6 miliardi rimarranno nelle casse dello Stato per questo motivo.

Smentiti, invece, i 4 miliardi di tagli (nel triennio) all’istruzione: dopo l’allarme lanciato dagli insegnanti di sostegno per i fondi a loro dedicati, dal Miur fanno sapere che le mancanze riguardano le voci «stipendi» del personale a termine, inizialmente inserite anche per il 2020-2021, perché vengono inserite di anno in anno. Artificio contabile, insomma, e polemiche per ora rientrate.

In sintesi, il Governo ha ammesso l’errore sul Pil, mentre la Commissione ha accettato la nuova previsione sulle entrate, inizialmente osteggiata. Certo, sono stati aggiunti quei 1,5 miliardi e ciò rende l’idea di quanto sarà difficile la manovra di fine anno: tra flat tax, clausole Iva, aiuti alle famiglie, investimenti sull’istruzione, per il Governo sarà dura accontentare tutti. Gli 1,8 miliardi risparmiati ogni 100 punti di spread in meno sono briciole e, senza fare ricorso all’indebitamento, le promesse non possono essere mantenute; visto poi chi ricopre le nuove cariche apicali nell’Ue, ci aspetteranno mesi di passione. A proposito, voci dicono che il fatto di aver accettato la proposta delle due donne, una francese e una tedesca, abbia influito sullo stop all’infrazione, come in uno scambio di favori: chissà…