Le incongruenze delle testimonianze sull’agenda rossa – parte 13

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Conclusioni sulle incongruenze delle testimonianze sull’agenda rossa

Leggendo queste testimonianze è chiaro quante siano le incongruenze dichiarate dai vari testimoni, ma soprattutto che ci fosse qualcuno di estraneo, ovvero non appartenente alle Forze dell’Ordine o ai Vigili del Fuoco, in Via D’Amelio, subito dopo l’esplosione dell’autobomba.

Si viene a conoscenza di questi personaggi solo a partire dal 2005 con la prima testimonianza di Garofalo, susseguita dopo oltre venti anni dalla strage con le dichiarazioni di Maggi, il quale dice di aver visto personaggi dei Servizi in giacca e cravatta girare tra i rottami delle auto.

Vengono riportati di seguito gli ulteriori dubbi da chiarire che i magistrati hanno riportato nella sentenza di primo grado del processo «Borsellino quater»:

– ai familiari di Paolo Borsellino non veniva mai notificato alcun verbale di sequestro della borsa del loro congiunto ed alla vedova veniva mentito, considerato che il dottor Arnaldo La Barbera le diceva che detta borsa era andata distrutta nella deflagrazione, sebbene risulti (come detto) che il reperto giungeva nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo già nel pomeriggio del 19 luglio 1992;

– chi portava la borsa nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo, non riteneva di dover fare alcuna relazione di servizio (almeno fino a cinque mesi dopo), né di dover far rilevare che vi erano degli appartenenti ai Servizi Segreti sullo scenario della strage;

– alcuni mesi dopo la strage, il dottor Arnaldo La Barbera riteneva di recarsi, personalmente, a casa della Sig.ra Agnese Piraino, per la restituzione della borsa del marito, che avveniva in maniera irrituale e frettolosa (ancora una volta, non veniva redatto alcun verbale, né consta alcuna relazione di servizio);

– in detta occasione, innanzi alla richiesta della figlia, Lucia Borsellino, di riavere indietro anche l’agenda rossa del padre (non presente fra gli altri suoi effetti personali, dentro la borsa), il Dirigente della Squadra Mobile di Palermo, con un atteggiamento infastidito e sbrigativo, affermava, in maniera categorica (ed apodittica), che non esisteva alcuna agenda rossa da restituire; a fronte dell’insistenza della ragazza (che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta), il dottor Arnaldo La Barbera, con la sua voce roca, diceva alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto «delirava» o «farneticava». Un atteggiamento, questo, che rivelava non solo una impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche una aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino, nel suo forte e costante impegno di ricerca della verità sulla morte del padre;

– le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza sulla preparazione della strage: l’incarico di Giuseppe Graviano, tramite Cristofaro Cannella, di rubare una Fiat 126. L’adempimento del compito, da parte di Spatuzza, assieme a Vittorio Tutino. Il ricovero dell’automobile nel magazzino di Brancaccio (via Gaspare Ciprì n. 19).