La lettera: non criminalizzate l’operato delle Ong!

Caro Borsa,
la apprezzavo, prima di leggere il suo parere sulle Ong. Come si permette lei di criminalizzare il lavoro di quanti salvano vite umane tutti i giorni? Abbia un po’ di rispetto, per cortesia.

Simone L.


Caro Simone,
immagino che lei si riferisca all’articolo che riporto qui. Si tratta dell’unica occasione in cui mi sono occupato del lavoro delle Organizzazioni Non Governative nel salvataggio dei migranti in mare. Il problema è che non ho mai «criminalizzato» questa operazione che reputo essenziale e nobile. Mi secca citarmi, ma riporto comunque una frase che con chiarezza esprime lo spirito di quell’articolo: «Salvare più persone non può significare favorire gli scafisti: questa non è “disobbedienza civile”, a cui sta inneggiando più di qualcuno, ma scarsa lungimiranza, perché salvare le vittime non può conciliarsi con il vantaggio dei carnefici. Il compromesso non può essere questo».
Criminalizzare l’operato delle Ong e le Ong stesse avrebbe significato affermare che tutte le Organizzazioni lavorano con gli scafisti e che, magari, ci lucrassero anche sopra. Di queste due affermazioni non c’è prova alcuna, quindi sarebbe stato sciocco e criminale spacciarle per vere. La sete di verità che anima il sottoscritto e non solo lui deriva dalla stima per il lavoro di quelle Ong che agiscono in modo legale e non per questo meno efficace, un operato che va nettamente separato – magari anche tramite condanne in caso di colpevolezza – da quelle che usufruiscono di scorciatoie forse utili ma non per questo meno illegali.
Ogni attività deve muoversi nei confini dettati dalla legge. Se si ritiene una norma ingiusta ci sono essenzialmente 3 possibilità riguardanti la reazione del cittadino: 1. mandare giù il rospo; 2. fare pressione affinché la legge venga cambiata; 3. disobbedire deliberatamente alla legge, ma senza dopo lamentarsi se chi di dovere apre un’inchiesta.