L’insostenibile leggerezza della scena politica italiana

Eccoci qui. Siamo giunti all’ennesimo appuntamento elettorale (solo in questa tornata si eleggeranno i membri del Parlamento Europeo, moltissimi sindaci e il Consiglio Regionale del Piemonte) e, come al solito, l’italiano medio si presenta alle urne come uno tra i più disinteressati e disinformati cittadini dell’Unione Europea.
Impossibile, direte voi. In fondo, viviamo in uno stato di perenne campagna elettorale da molto prima di quel fatidico 4 marzo 2018 che solidificò l’alleanza gialloverde di eterogenea natura.
Abbiamo, per la prima volta nella storia della Repubblica, ben due vice-premier che sono costantemente impegnati ad arringare le folle in mirabilanti manifestazioni e opposizioni che, da quando hanno dismesso gli incarichi governativi, si sono accorte che in questo sofferente paese povertà e corruzione sono dilaganti, che la vera emergenza è la mole di tasse sul lavoro unita alla disoccupazione giovanile.
Alcune, a volte, dicono persino qualcosa di sinistra.

Abbiamo poi, e anche in questo caso possiamo essere sicuri di figurare tra i primatisti mondiali del settore, un partito di centro-destra retto da un dinosauro egemone, (in)formalmente possessore della maggior parte dei media audiovisivi tradizionali, capace di sfoggiare lo stesso identico sorriso e la stessa voce rassicurante di quella volta in cui esordì sullo scenario con un toccante «L’Italia, è il Paese che amo», circa 25 anni or sono.
La situazione, non me ne voglia chi quelle sirene le ha sentite per davvero, per certi versi ricorda vagamente quei documentari sulla seconda guerra mondiale in cui si sentiva il suono che preannunciava un bombardamento e le folle disperate correvano a rintanarsi nei rifugi sotterranei, lontano da quei suoni e quei rumori di distruzione.
Sigla di un talk show politico e via, tutti a guardare il Grande Fratello. Possiamo biasimarli?

Forse sì, ma la realtà è che il panorama politico italiano è deprimente, informe, una sorta di gigantesco studio televisivo in cui ognuno starnazza ciò che gli pare indisturbato, senza doversi preoccupare né delle conseguenze, né delle ripercussioni, né, soprattutto, di dire qualcosa che sia veritiero e sensato.
«Come la fa lunga questo qui», penserete, «È solo un novantenne nostalgico della Prima Repubblica».
Si, probabilmente è vero.
Però lo è altrettanto il fatto che nel primo dopoguerra, l’Italia era un paese in fermento, bramoso di informazione, interessato, retto ed onesto.
Gli uomini politici dovevano avere cura di saper esporre i loro concetti in un italiano istituzionale, ma anche di essere capiti da intere generazioni di cittadini, che contavano al loro interno analfabeti e laureati.
Dovevano essere integerrimi, dovevano dare l’impressione di essere davvero una casta eletta di menti eccelse. Ve lo immaginate Togliatti che posta un selfie davanti alla tv con un panino alla nutella o mentre corre sul lungo Arno?
Potete anche solo pensare ad Almirante mentre sbaglia un congiuntivo o insulta l’avversario con un insignificante «professoroni» ancompagnato dall’emoticon dei bacini?
E ad un Altiero Spinelli (visto che parliamo anche di elezioni europee) europeista a targhe alterne, cosa avreste detto?
Tutto questo non sarebbe mai successo, a quei tempi.

Ancora una volta, però, se si vuole cercare un colpevole, se si vuole comprendere fino in fondo questo velo di insostenibile leggerezza che accompagna il dibattito politico, non c’è che da alzarsi la mattina e guardarsi allo specchio.
Quante volte ognuno di noi ha pensato di schivare un compito gravoso affibbiandolo a qualcuno che sarebbe arrivato dopo?
Quante volte ci siamo affidati a qualcun altro anzichè risolvere noi stessi i nostri problemi?
Quante volte abbiamo posposto la sveglia della nostra coscienza pensando che la nostra singola azione non sarebbe stata influente in quel mare di vergogna che è la società italiana?
No cari concittadini, la politica non è così lontana come pensate e sì, cari compatrioti, ogni popolo ha la classe dirigente che si merita.
«La pena che gli uomini buoni devono scontare per l’indifferenza alla cosa pubblica è quella di essere governati da uomini malvagi», diceva Socrate.
Aveva ragione lui, ma oggi sarebbe solo uno dei tanti professoroni buonisti e un po’ radical chic.