Maduro most wanted

Che fine ha fatto Nicolas Maduro? Il presidente illegittimo del Venezuela che lo scorso anno, dopo l’autoproclamazione del rivale Guaidò a presidente ad interim, ha scaldato i cuori delle effimere prese di posizione a colpi di tweet su materie e situazioni tanto complesse quanto sconosciute, era velocemente sparito dai radar del dibattito pubblico. L’Italia, uniformandosi all’Unione Europea, ha assunto una posizione di buon senso sulla questione: le ultime elezioni sono da ripetere, per palesi irregolarità, sotto rigida vigilanza internazionale, ma allo stesso tempo nessuna forzatura del processo democratico deve essere messa in atto, destituendo un governo insediato con interventi dall’esterno. Gli Stati Uniti, invece, da subito si sono dichiarati fieri sostenitori del liberale Guaidò e della conseguente apertura del Venezuela al mercato globale e agli interessi americani sui suoi pozzi di petrolio.

Venendo ai fatti odierni, un comunicato della DEA, sicuramente meno clamoroso del dovuto in quanto piovuto in piena distrazione virale di massa, pone sotto accusa il Capo di Stato venezuelano, arrivando a promettere 15 milioni di dollari a chi è in grado di fornire informazioni utili alla sua cattura. Maduro e altri 14 ufficiali ed ex ufficiali militari e governativi sono ufficialmente ricercati per narcotraffico, cospirazione, corruzione massiva degli organi di stato venezuelani, importazione illegale di armi e organizzazione della vendita al dettaglio di cocaina sul suolo statunitense tramite la collaborazione di stati-ponte come l’Honduras. In parole povere, i bolivariani avrebbero traslato sul suolo venezuelano lo stesso modello criminale di Pablo Escobar, con gli stessi attori esterni e identiche modalità.

Per alcuni degli accusati sono stati rilevati flussi anomali di denaro sui conti correnti americani, mentre per altri, tra cui lo stesso Maduro, l’impianto accusatorio è rimandato a non meglio specificate prove indiziarie raccolte nel corso del tempo, fin dal lontano 1999, agli albori del periodo chavista. Trovando ampia sponda nel Gruppo di Lima e segnatamente nella Colombia, che con la recente accusa di collaborazione dei bolivariani con il corpo di guerriglia colombiano Forze Armate Rivoluzionarie Comuniste ha scatenato una reazione ai limiti del bellico sul confine tra i due stati, gli USA concentrano nella figura di Maduro la maggior parte della responsabilità per il fiorente mercato di cocaina sul proprio territorio. Si tratta di un’accusa legittima o dell’ultima di una serie di manovre politiche atte a spodestarlo, non potendo intervenire militarmente per il veto di Russia e Cina?

La verità, molto probabilmente, sta nel mezzo. Se da un lato è conclamato un ampio grado di corruzione e centralizzazione della ricchezza nei funzionari pubblici e partitici, così come sono sotto gli occhi di tutti molte forzature dello stato di Diritto messe in atto dal regime, dall’altro le pressioni colombiane e statunitensi degli ultimi anni sono state sempre più forti. A farne le spese, per responsabilità condivise da entrambi i soggetti, è ovviamente il popolo. Il gracile impianto statale del Venezuela è stato affossato in campo economico da un gravissimo embargo unilaterale, in quello politico gettato sull’orlo della guerra civile dal riconoscimento internazionale di un presidente altrettanto illegittimo, in quello sanitario martoriato dal blocco degli aiuti e dal rifiuto del prestito chiesto al FMI per affrontare l’emergenza Coronavirus, in quello della sicurezza accerchiato dalle accuse colombiane e inondato di profughi provenienti proprio dal Paese confinante, in quello della diplomazia costantemente bacchettato da parziali rapporti dei Commissari ONU e degli osservatori in genere.

Ciò che pare davvero inconcepibile è la messa in stato d’accusa di un Capo di Stato, con tanto di taglia in stile Far West, sulla base delle operazioni illegali che avvengono nel territorio che governa. Com’è ben noto da rapporti Europol, ad esempio, il porto di Rotterdam è la maggiore base per il traffico europeo di stupefacenti, il Canada uno dei maggiori esportatori di droghe sintetiche, l’Italia la sede delle tre organizzazioni che più lucrano su questi traffici, concentrando il riciclaggio dei profitti in Germania e nei Paesi Bassi. Non è difficile immaginare e neppure dimostrare una certa connivenza a più livelli di funzionari legati a forze politiche centrali nel governo dei quattro Paesi, ma nessuno si sognerebbe di emanare un mandato di cattura verso Ritte, Conte, Trudeau o Merkel per traffico di droga internazionale.

Lungi da chi scrive difendere Maduro. Anzi, al netto della situazione creatasi, sarebbe meglio che si facesse da parte per il bene di un popolo ridotto allo stremo. Rimane però l’amaro in bocca nel constatare una volta di più, due millenni dopo, che continuano ad avere ragione i latini: Ubi maior minor cessat.