«Niente di grave», un racconto di malasanità italiana

Niente di grave
Pompilio Turtoro
Imprimatur – 2017 – 12 euro

«Era tutto sotto gli occhi dei medici, fin dal primo giorno in cui abbiamo messo piede al pronto soccorso. Possibile che non ci sia stato un solo dottore attento? Nessuno di loro ha notato tutti questi sintomi?», così si può riassumere Niente di grave, il primo racconto di Pompilio Turtoro, classe 1975, conosciuto perché autore di molte canzoni dei Nomadi dal 1998. Un caso di malasanità in un ospedale del profondo Sud diventa un dramma familiare: un figlio racconta l’agonia della propria madre, che si vede più volte respinta dai medici del pronto soccorso perché, secondo loro, affetta da una semplice bronchite. I sintomi però sono chiari fin dal primo accesso: tosse violenta, paralisi agli arti inferiori, impossibilità a deglutire. La verità è che la donna ha la sindrome di Guillain-Barré, una patologia rara che, se presa in tempo, può comunque essere curata.
Saranno i figli, e i familiari, ad accorgersi dei rapidi peggioramenti della donna, e a insistere perché venga ricoverata. Ma sarà troppo tardi. Tutto è nato da una telefonata: «Siamo in ospedale, abbiamo portato mamma al pronto soccorso perché quella tosse non cessava». Ma sin da subito, con un medico solo per un centinaio di pazienti al giorno, il malfunzionamento della sanità è evidente. Dall’attesa lunghissima alla prima diagnosi sbrigativa, è un’escalation di errori di cui sembrano accorgersi solo i familiari della donna.
In fondo non è «niente di grave», continuano ad affermare i medici, mentre è evidente che c’è qualcosa che non va, che non è una semplice bronchite. I familiari si sentono completamente esclusi dalla diagnosi, la loro testimonianza non viene ascoltata e ogni loro parola sembra essere messa a tacere da delle lauree in medicina. Un dramma familiare che continua a crescere e a ingigantirsi, fino a trasformarsi in tragedia: a forza di «non è niente di grave», la gravità aumenta e il tempo a disposizione diventa sempre meno. Una lotta contro il tempo in cui si ha il preludio di una sconfitta, ma in fondo forse anche il fatto che una donna rischi la vita «non è niente di grave».