Mario Draghi, santo e uomo solo al comando

La santificazione di Mario Draghi sarà definitivamente conclusa con la sua ascesa al Quirinale a gennaio? Oppure nel 2029 gli chiederanno di restare, «per il bene della Repubblica» naturalmente, e lui nicchierà prima di sacrificarsi per la Patria? Non so voi ma questa è la mia impressione dopo la conferenza stampa di fine anno organizzata dall’Ordine dei Giornalisti. Un presidente del Consiglio che non ha quasi mai rilasciato un’intervista in 9 mesi di governo viene applaudito dai cosiddetti «cani da guardia del potere» appena varca la porta della conferenza stampa. Uno spettacolo indegno.

Il problema, per carità, non è Draghi, una brava persona che fa quello che deve fare. Il problema sono politica e giornalismo, completamente annichiliti dal cosiddetto «governo dei migliori» e che hanno perso anche quella minima parvenza di serietà che avevano quando facevano le pulci a Giuseppe Conte dopo ogni provvedimento che firmava. È dovuto arrivare (l’ennesimo) uomo della Provvidenza per mostrare il re nudo, un uomo con un consenso quasi unanime (tolta qualche voce da destra) che è riuscito a mettere al governo la Lega insieme al Pd, tanto per dire.

Ma la realtà è questa, una religione di Stato che vede come profeta l’uomo solo al comando. È già stato così con Silvio Berlusconi (con una sinistra prona ad assecondarlo), con Mario Monti e con Matteo Renzi. Ma noi italiani non impariamo mai. Com’è bravo lei! Com’è intelligente lei! Com’è preparato lei! Nonostante l’Italia e il mondo intero siano ormai da quasi due anni immersi in una pandemia, continuiamo – raccontandoci che questa è la tanto ricercata «unità nazionale» – a ritenere normale che dei giornalisti venerino un presidente del Consiglio e che, se non fosse per Giorgia Meloni, il governo Draghi sarebbe un esecutivo senza opposizione, che è indispensabile in una democrazia.

Risultato del voto per la fiducia al Governo Draghi, febbraio 2021. Fonte

D’altronde questa è la sinfonia che l’orchestra dei soliti noti suonava già a febbraio, quando il sedicente «nonno al servizio delle istituzioni» (Mario Draghi, 22 dicembre 2021) entrava a Palazzo Chigi: «Discorso politico da leader politico, vaccini, Europa, Usa, riforme fisco, amministrazione giustizia, patriottismo. Chi si aspettava la gestione burocratica di un tecnocrate sbagliava. Non giudicate il premier dai suoi nemici e propagandisti, è ben diverso e migliore» (Gianni Riotta), «Il governo del Paese. Semplicemente» (Massimo Giannini), «Una ricetta che somma pensiero e azione. Sommare ambiente e impresa è la parte più innovativa del discorso» (Maurizio Molinari). E questi erano solo tre esempi nell’oceano di venerazione per il «nonno al servizio delle istituzioni».

È facile pensare che una persona sola possa arrivare a risolvere tutti i problemi di un Paese. Facile e autoassolutorio. La verità, come ci ha mostrato la Storia, è ben diversa. Questa persona può essere intelligentissima e preparatissima, ma il destino di una Nazione è nelle mani di quella stessa Nazione. Non c’è alternativa. Ma ai nostri testimoni di Draghi questa eventualità non viene in mente, non gli sorge un dubbio, non se la prendono se il premier ha concesso forse una manciata di interviste in 9 mesi di governo. Per loro va tutto bene. E così sia.