Massimo Fini: «L’immigrazione è colpa nostra»
Abbiamo «intercettato» Massimo Fini, giornalista e scrittore, alla festa del Fatto Quotidiano a Marina di Pietrasanta (Lucca). L’intervista che leggerete offre un particolare punto di vista sulla questione dell’immigrazione. Punto di vista che, come è nello stile di Fini, spiazza completamente il lettore.
Partendo dalla foto del bambino morto e dalla prima pagina del Manifesto che la commentava con «Niente asilo». Secondo te è stata utile come cosa oppure, come ha detto qualcuno, è stata un’esibizione gratuita della morte di un bambino?
Non è gratuita nel senso che la foto, pur essendo molto evocativa, andava pubblicata. Il giornalismo deve fare anche queste cose. Io l’ho trovata commovente: non è come la consueta morte «indiretta» alla quale ormai siamo abituati.
E utile magari per scuotere le coscienze?
No: la gente ha questa reazione emotiva per poi dimenticarsi di tutto.
Ci può essere una soluzione almeno teorica a questo esodo biblico?
No: non sono migranti che vengono solo dalle guerre, quindi dalla Siria o dall’Iraq. Molti vengono dall’Africa Centrale dove non c’è nessuna guerra ma c’è la fame. Questa fame è stata indotta da noi: l’introduzione del modello occidentale nell’Africa nera ha distrutto le economie di sussistenza, autoproduzione e autoconsumo, su cui quelle popolazioni avevano vissuto e a volte prosperato per secoli e millenni. Ora quella realtà è distrutta per 700 milioni di abitanti dell’Africa nera. Basta che una porzione consistente si riversi qui per causare dei problemi. Non è una questione risolvibile e siamo stati noi stessi a metterci in queste condizioni. È ovvio che un gruppo di paesi ricchi, circondato da un mare di miseria, alla fine viene sommerso da questa miseria. Non c’è una soluzione praticabile.
E cercare di regolare questo esodo?
Merkel ha fatto la cosa più giusta ad accogliere i siriani, che poi è una questione di diritto internazionale che risale alla notte dei tempi. Ma quelli che vengono dalla fame non hanno nessun diritto? E c’è un altro discorso da fare a proposito della cosiddetta globalizzazione: il capitale può andare nei posti dove trova la miglior remunerazione ma l’uomo non ha questo diritto. Il denaro ha più diritti degli uomini? Neanche il vecchio Hitler avrebbe osato dire una cosa del genere. Quindi se noi continuiamo ad andare in quei posti a sradicare quelle culture dal punto di vista economico, sociale e culturale, non possiamo che aspettarci migrazioni ancora superiori. Dieci anni fa avevo scritto, ed eravamo solo all’inizio di queste migrazioni, «Guardate che questo non è che un pallido fantasma di quello che accadrà»; ma oggi potrei scrivere la stessa cosa a proposito di quello che accadrà nei prossimi anni.
Quindi dovremmo mettercela via?
La cosa giusta da fare, ma ormai è impossibile farla, sarebbe ritirarci da quei posti. Non è più possibile perché, tanto per fare un esempio, la gente che si è trasferita a Lagos in Nigeria (12 milioni di abitanti) e che viveva nelle campagne non può più tornare nelle campagne perché abbandonandole si sono desertificate. Mi hanno detto che nel padiglione Onu all’Expo si afferma che noi dovremmo insegnare agli africani come si coltiva; ma coltivare è la cosa che hanno sempre fatto! «Aiutarli a casa loro»: non ha senso. L’Africa si aiutava molto meglio quando si aiutava da sola: anni fa, c’era ancora il G7, ci fu un contro-summit dei paesi più poveri del mondo, con in testa lo stato africano del Benin, al grido di «Per favore, non aiutateci più». Perché questi aiuti spesso sono pelosi e, anche quando non lo sono, strangolano comunque queste popolazioni costringendole al nostro modello economico e sociale.
È utile informare le persone sull’immigrazione tentando di evitare l’effetto Salvini?
Certo che bisogna informarle però bisogna farlo in modo completo. Le persone vanno informate anche sulle cause profonde di quest’immigrazione: l’informazione non funziona se tu gli dici semplicemente che questi arrivano perché c’è la guerra e non analizzi le cause per cui il Continente Nero è oggi un cimitero pericoloso nella misura in cui un cimitero ti può contaminare. Noi abbiamo distrutto un continente e ne stiamo pagando giustamente le conseguenze. Bisognerebbe impiccare i responsabili di questo sfacelo. Solo negli ultimi anni possiamo vedere l’aggressione alla Serbia nel 1999, all’Afghanistan nel 2001, alla Somalia nel 2006, alla Libia nel 2011. Alla fine qualcosa deve succedere, per esempio l’Isis e le migrazioni per la fame. L’Africa nera era autosufficiente al 98% fino al 1970, dopo siamo intervenuti noi con il nostro modello che credevamo il migliore. Al Baghdadi ha un totalitarismo religioso, noi abbiamo un totalitarismo laico basato sul nostro modello economico.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia