Matrimoni gay? Vero esempio di uguaglianza, non falso mito di progresso

Mi dispiace deludere quelli che vedono La Voce come l’organo di stampa della sinistra, e sono in tanti: non mi considero un progressista. Semplicemente non credo che miglioramento e cambiamento siano parole nate per vivere insieme: i «falsi miti di progresso», per usare le parole di quell’aquila di Mario Adinolfi, esistono ma non sono quelli che certi personaggi spacciano per tali.
Mi scusino i lettori per questa apologetica introduttiva nata non dal bisogno di difendere a spada tratta le mie idee dai frequenti fraintendimenti, quanto piuttosto dalla necessità psicologica di fermare in partenza tante obiezioni che spesso non sono neppure meritevoli di risposta.
Il matrimonio per le coppie omosessuali non è un «falso mito di progresso» quanto piuttosto un
vero esempio di uguaglianza: l’isotes, l’uguaglianza appunto, era per i greci il cardine della democrazia. Uguali diritti e uguali doveri. Pare tautologico e ovvio ma è sempre meglio ripeterlo: qualche furbone potrebbe esserselo scordato. Il matrimonio, come d’altra parte l’adozione di un figlio, consiste in doveri etici e legali ma dev’essere anche un diritto per tutti. Non è facile abbandonare lo stereotipo del matrimonio uomo-donna nel paese in cui la Chiesa è la prima forza politica per importanza, è uno sforzo che però si deve fare. Almeno per vedere i molti cattolici integralisti annegare nell’oceano della propria nullità.
È vero, ci sono anche le «coppie di fatto», i
Dico o tutti quegli abomini della giurisprudenza che possono in un qualche modo supplire al matrimonio per tutti: ma se da una parte molte volte risultano essere solo un discriminatorio surrogato, dall’altra, nel momento in cui fossero in tutto e per tutto uguali al matrimonio, sarebbe solo un inutile «di più», segno della cieca ostinazione per la forma anche quando i contenuti sono identici.
«Il giorno in cui due uomini si potranno sposare, si potrà prendere come marito anche il proprio cane». Non desidero perdere altro tempo dietro a frasi come queste: insensate e fortemente offensive: con tutto il rispetto per i cani, paragonare un omosessuale ad un animale a cui non è riconosciuta alcuna facoltà di intendere e di volere è un’offesa gratuita e segno di pochezza intellettuale e di scarsa capacità argomentativa, se non addirittura di assenza di argomenti.
Se, nonostante il mio conservatorismo di fondo, credo fortemente nella necessità del riconoscimento delle coppie omosessuali tramite il matrimonio è perché, checché ne dicano certi professoroni, il giorno in cui questo sogno diverrà realtà,
non cambierà nulla. La terra non diverrà come per incanto cubica o trapezoidale, si seguiterà a camminare su due gambe e non a saltellare come il disneyano Giro Rotalibera. Ci saranno semplicemente diritti – e doveri – uguali per tutti.
L’adozione merita invece un paragrafo a sé: se davvero un bambino ha bisogno di una mamma e di un papà per crescere correttamente, sarebbe il caso di togliere i bambini alle ragazze madri, ai vedovi e alle vedove. Figuriamoci ai divorziati: vedere un giorno un genitore e un giorno l’altro potrebbe scatenare degli scompensi di irrimediabile portata. Una
hit del genere è: «Coppie omosessuali crescono figli omosessuali». A parte che gli autori di affermazioni come questa non conoscono l’innatismo dell’orientamento sessuale (che si informino), ammesso e non concesso che omo ed eterosessualità derivino dalle esperienze, come mai nascono figli omosessuali da coppie etero? Misteri.

Immagine tratta dal film "La vita di Adele" (2013)
Immagine tratta dal film “La vita di Adele” (2013)


Il lettore attento, vedendo che questo articolo è giunto al termine, storcerà il naso: Quali sono i veri «falsi miti di progresso»? Al lettore attento non si può che dare ragione e rispondere: sono falsi miti di progresso la nuova legge elettorale, lo stravolgimento del Senato, tanto per fare due esempi. Sono falsi miti di progresso tutti i cambiamenti che gente come Adinolfi ignora sistematicamente nei propri discorsi (chi tace acconsente?) perdendosi a parlare della teoria del
gender e del pericolo che corrono i bambini a vedere una donna barbuta in tv.

Tito Borsa