Mobbing e burnout, questi sconosciuti

Trovato un lavoro, trovato un tesoro. Purtroppo non è sempre così. Non è raro che alcuni lavoratori decidano di abbandonare la propria posizione nonostante il periodo di forte crisi. Degli incoscienti? Assolutamente no.
Con l’aumento della crisi e della disoccupazione, sono aumentati altri due fenomeni forse ancora poco conosciuti: la
sindrome da burnout e il mobbing.
La sindrome da
burnout, un tempo associata esclusivamente alle professioni d’aiuto quali medici, infermieri, insegnanti, è causata dal lavoro in strutture mal gestite, dalla scarsa retribuzione, dall’organizzazione del lavoro inadeguata, dallo svolgimento di mansioni frustranti e da sovraccarichi di lavoro.
Il
burnout, come aveva spiegato la collega Zigulì in un articolo precedente, comporta:

  • Esaurimento emotivo: sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato;
  • Depersonalizzazione: atteggiamento di allontanamento e di rifiuto nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale;
  • Riduzione delle capacità personali: percezione della propria inadeguatezza al lavoro, caduta dell’autostima, sensazione di insuccesso del proprio lavoro.

Riconoscere il burnout non è semplice e spesso si suppone che il problema sia del singolo individuo, non del contesto lavorativo nel suo insieme. Il datore di lavoro deve apportare delle modifiche per migliorare le condizioni di attività dei suoi dipendenti e la persona in questione accettare l’aiuto di professionisti. Ovviamente ciò comporta dei costi non indifferenti ed è per questo consigliabile la creazione, fin da subito, di un ambiente stimolante e positivo, in cui l’interazione di idee sia la benvenuta.

top-mobbing

Il mobbing, invece, è la violenza psicologica sul lavoro, chiamato anche bossing se effettuato da un individuo di livello gerarchico superiore. Consiste nell’insieme di comportamenti aggressivi esercitati da una persona o un gruppo di persone che impediscono o ostacolano un soggetto di lavorare nel migliore dei modi. Alcuni esempi sono la dequalificazione lavorativa, l’emarginazione, le umiliazioni, gli insulti, le maldicenze, le aggressioni fisiche e verbali. Questo comportamento può causare disturbi dell’adattamento, esaurimento nervoso, depressione, insonnia, ma anche sintomi molto più gravi come cefalee, gastriti, tremori e tachicardia. Il 3 luglio 2013 la cassazione ha riconosciuto lo straining (mobbing attenuato), ovvero una situazione di stress forzato sul posto di lavoro.
Se da una parte è stato semplice definire
mobbing e straining, dall’altra non è per nulla facile dimostrare davanti ad un giudice di esserne stata vittima. Infatti il lavoratore deve dimostrare gli atti vessatori tramite un testimone che spesso e volentieri è un collega che continuerà ad essere in contatto con chi è causa dei comportamenti illeciti. Inoltre, per richiedere il risarcimento dei danni, è essenziale il contributo del medico legale che definirà l’esistenza e l’entità del danno, oltre che la sussistenza di un rapporto causale con le vessazioni subite.
Il mondo del lavoro non è tutto rose e fiori. La crisi è forte, ma questo non deve dare il diritto né allo sfruttamento, né a svendere se stessi.