Mostra del Cinema: a Venezia sbarca la realtà virtuale (Gallery)

Dalla nostra inviata Venezia
Foto dell’Autrice

Anche la 74esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia sta volgendo al termine. Sicuramente la novità che ha fatto più discutere è stata l’introduzione di una sezione «Vr», acronimo di Virtual Reality. Quest’ultima, terminata il 5 settembre, era dedicata unicamente agli accreditati, e potremmo considerarla quindi un’esclusiva per alcuni privilegiati. La location scelta è stata il Lazzaretto Vecchio, situato nell’omonima isoletta a brevissima distanza dal Lido (dove si svolge il Festival) e raggiungibile con una navetta gratuita. Una nuova, splendida luce è stata data a quello che è il più antico lebbrosario d’Italia, arricchendo i suoi 8mila metri edificati d’installazioni e perfino di un bar, gestito dal famoso «Pèca», nella verdeggiante corte interna.
Il Lazzaretto ha ospitato tre sezioni differenti, contenenti un totale di 31 opere: gli «stand-up», cioè installazioni che prevedevano che lo spettatore restasse in piedi; installazioni immersive, in cui ci si sedeva o sdraiava e si aveva un’interazione fisica con degli attori; infine il Vr Theatre, uno spazio con 55 poltroncine girevoli bianche. In ognuna delle tre sezioni, si assisteva a spettacoli individuali, poiché ciascun spettatore doveva indossare cuffie e casco con lo schermo per la realtà virtuale a 360 gradi.
Nel Vr Theatre si poteva assistere collettivamente alla visione di alcuni filmati di varia durata, fino ad arrivare ai 40 minuti di Miyubi, la storia di un piccolo robot giocattolo regalato a un bambino americano negli anni ’80. C’era poi il trailer di Gomorra, con un inseguimento da brividi, e la cruda produzione coreana Bloodless, che mostrava l’assassinio di una prostituta. Tra gli «stand-up», degno di nota è Nothing Happens, in cui lo spettatore veniva posizionato con delle scarpe aperte a piedi nudi su del terriccio e poteva letteralmente immergersi in una sorta di sepoltura, con corvi e persone che assistevano al suo funerale. In Groenland melting, si veniva proiettati nel disastro ambientale dello scioglimento dei ghiacciai, mentre in Free whale si verificava uno scambio tra intelligenze artificiali. In The last goodbye un anziano riviveva l’Olocausto nel campo di concentramento in cui ha perso madre e sorella.
L’installazione immersiva che più ha fatto scalpore, invece, è stata Hver Sin Stilhed, in cui due spettatori si stendevano rispettivamente su due letti d’ospedale e rivivevano la storia di due fratelli finiti in coma in seguito a un incidente: tre attori si occupavano di far loro sentire odori, soffi d’aria, pressioni e perfino iniezioni utilizzando una siringa senza ago. «
Nell’epoca degli iPhone e dei ragazzini che abbassano lo sguardo quando sono a tavola con i genitori e gli amici perché sotto il tavolo tra le gambe maneggiano un oggetto misterioso che li distrae e li aliena dal mondo, noi vogliamo essere in un luogo in cui tutti gli schermi siano usati perché il mondo parli di sé. Per contribuire al dialogo e non al solipsismo e all’autoreferenzialità. Perché l’arte è parlare della condizione umana», queste le parole di Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia.
Domenica 3 settembre chi scrive ha avuto la fortuna di accedere al Vr-Lazzaretto: ho provato Free whale, che a un certo punto mi ha provocato non poche ma divertenti vertigini, due amiche hanno provato Hver Sin Stilhed – che io non avrei mai avuto il coraggio di provare – e tutte e tre insieme abbiamo visto Miyubi. Devo ammettere che, dopo ben 40 minuti di realtà virtuale, una volta tolto il casco mi sono sentita preda di capogiri per una buona mezz’oretta, quasi come se tutto ciò che mi circondasse avesse un aspetto sfumato. Però chissà, c’è chi dice che questo è il futuro del cinema e dell’intrattenimento: probabilmente mi ci dovrò solo abituare!

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