Nello Trocchia: tra giornalismo e antimafia

Incontrai Nello Trocchia per la prima volta circa 8 anni fa. Era un incontro sul giornalismo libero, sui pericoli che i giornalisti d’inchiesta correvano nel proprio lavoro e sulla qualità del giornalismo. Da quel giorno per me è rimasto sempre nella memoria come quel Giornalista umile, ma con una lingua molto tagliente. Molto preparato, descriveva con tantissimi aggettivi il suo lavoro, quella descrizione minuziosa che ti faceva quasi assaporare cosa volesse dire davvero essere un giornalista.

La professione del giornalista è una professione non sempre apprezzata come dovrebbe. In famiglia, se accenni all’idea di voler fare questo mestiere, ti rispondono che ci sono tantissime persone che vorrebbero farlo, ma pochissime che ci riescono. Ne parlano quasi fosse un concorso pubblico. La risposta, quasi sempre, è che di questo lavoro è difficile viverci.

I più crudeli aggiungono anche che in questo Paese il giornalista è il portavoce del potere, non il cane da guardia, e scriverà sempre ciò che chi lo finanzia gli dice.

Ecco, prendete tutto ciò che vi ho detto finora ed eliminatelo dalla vostra mente, perché Nello Trocchia è l’antitesi di questo pensiero.

Nato il 27 maggio 1982, Nello sognava sin da piccolo di fare il giornalista ed è rimasto fedele a quel sogno. Ha sempre preferito l’amara verità alla più dolce delle bugie.

I consigli di Nello Trocchia ad un giovane giornalista

Ho letto che tu, sin da giovane, hai avuto la passione per il giornalismo. Se dovesse presentarsi di fronte a te un giovane Nello che vuole fare il giornalista, quali consigli, avvertimenti e aneddoti gli daresti?

«Come diceva Montanelli, direi che il giornalismo si fa solo per il giornalismo, nel senso che dovrebbe essere libero da protagonismi, perché ha come obiettivo e missione quello di raccontare e di fare l’interesse pubblico. Certamente il giornalismo ha anche una funzione sociale enorme. Pippo Fava diceva che il buon giornalismo è quello che evita le tragedie e questo, ovviamente, serve a caricarci di responsabilità. Il giornalismo è un mestiere che ha un’enorme responsabilità, essendo anche un potere. E, quindi, il giornalismo è anche inevitabilmente fatica.

Gli direi, quindi, che è un mestiere faticoso. Se ti piace è appassionante, ma è carico di responsabilità e le responsabilità significano inevitabilmente problemi, fastidi, questioni o, gergalmente, rogne. Per entrarci, come diceva Giancarlo Siani 40 anni fa (ma non è cambiato niente), purtroppo, si utilizzano molto diffusamente strade preferenziali, quelle della politica e delle relazioni, quelle dei passaggi da portavoce a cronista, da cronista a direttore. Più raramente, invece, si sceglie la strada delle cronache, delle notizie e delle inchieste. È un percorso più tortuoso, che sicuramente rinfranca di più, ma che è, comunque, molto complicato. Io ho tanti colleghi e tante colleghe molto bravi che non sono riuscite a vivere di questo mestiere e, quindi, l’hanno abbandonato oppure l’hanno associato ad altri mestieri. Non per forza, quindi, tutto questo porta, nonostante l’indipendenza, l’autonomia e la passione, a vivere di questo lavoro.»

I problemi del giornalismo italiano: precarietà, autocensura e disintermediazione

Il giornalismo in Italia in che situazione è? È ancora possibile portare avanti questo mestiere in Italia?

«Il giornalismo in Italia si può fare se hai voglia di scrivere, se hai voglia di superare quanto abbiamo appena detto, cioè di affrontare le questioni proprie del mestiere. Il fatto di doverti porre contro altri poteri, il fatto di affrontare degli ostacoli, delle dinamiche che si innescano inevitabilmente.

Il giornalismo in Italia piace a tutti. L’art. 21 della Costituzione è declamato pure a Sanremo. Basta che tu non ti occupi di questo o di quello. Tutti i partiti e tutti i poteri sono a favore del giornalismo libero, così come si è a favore della pace, però quando ti occupi di loro, il giornalista libero è etichettato come un nemico e, quindi, spesso utilizzano le liti temerarie e le cause civili per bloccarti, frenarti e spaventarti, per evitare, insomma, che tu possa scrivere.

Il giornalismo in Italia ha mille problemi, tra cui quello della precarizzazione, che ha coinvolto non solo il mercato del giornalismo, ma il mercato del lavoro in generale. I giornalisti, poi, per buona parte, si autocensurano oppure, addirittura, non arrivano proprio alla notizia. Ciò perché concepiscono il mestiere come un passacarte della politica, della procura e di altri poteri e non come un guardiano degli altri poteri. Vi è da parte della categoria un atteggiamento supino, subalterno, seduto e sdraiato. C’è poi un altro problema nell’opinione pubblica e nei cittadini: le persone amano pagare l’abbonamento televisivo per la visione delle partite. Hanno a casa la flat per avere la fibra ottica tutto il giorno, così come la DSL. Hanno i minuti illimitati e pagano le compagnie telefoniche, ma non vogliono pagare i giornali e i documentari.

Le inchieste e i contenuti giornalistici di qualità e liberi da condizionamenti, però, devono essere pagati, perché, se i giornalisti non vengono pagati per l’attività di ricerca delle notizie, allora il giornalismo muore.

Purtroppo noi ci siamo disabituati al pagamento, perché negli anni ci sono stati due momenti chiave.

Da una parte la disintermediazione, cioè l’idea della politica e dei grandi leader, da Berlusconi a Renzi e a Grillo, di dire: “Noi andiamo oltre il giornalismo. I giornalisti sono in buona parte asserviti e, quindi, l’informazione la facciamo noi in maniera diretta attraverso il blog o le dirette Fb”. E, ancor prima, attraverso le cassette che Berlusconi mandava a tutte le televisioni, che poi mandavano in onda tutte lo stesso messaggio, senza domande. E questa è anche colpa della categoria. La categoria, diventata sdraiata e subalterna, che si è abituata a questo impasto incestuoso con la politica. Tutto questo ha prodotto nella pubblica opinione l’idea che, visto che il giornalista non serve, si può tranquillamente disintermediare e avere un rapporto diretto con la politica e con i poteri. Questo ha destrutturato il briciolo ultimo di credibilità del giornalismo. Oggi, quindi, fai fatica a trovare persone che abbiano voglia di spendere per la cultura e per l’informazione.

Il paradigma attuale, quindi, è la fast news, la notizia trasmessa in formato digitale, gratuita, di bassa qualità. È questo il punto.

Vanno benissimo le esperienze. Anche io ho cominciato così. Quella è una palestra. Il problema è quando tu, utente, ti nutri o saccheggi o alimenti unicamente dei canali di informazione che sono di bassa qualità, cioè con pochi riscontri rispetto a quello che scrivi e, semmai, un copia-incolla del lavoro degli altri, vale a dire saccheggiando e cannibalizzando il lavoro altrui.

Questo porterà allo svuotamento dell’informazione, perché tu non avrai più giornalisti che scriveranno notizie. Avrai solo delle notizie lampo, veloci, che vengono fagocitate da chi è a casa. Hai un tempo di lettura basso e un tempo di approfondimento ancora più basso.

E questo fa molto comodo al potere, perché avere un’informazione che non conta, che non viene percepita come rilevante e che è sempre più con le armi spuntate, consente loro di fare quello che vogliono. Talvolta, quando succede qualche evento, come un’inchiesta importante di cui si discute, sorge, allora, un’anomalia. I colleghi, tranne rare eccezioni, fanno fatica in televisione ad alimentare e rendere viva la notizia, perché c’è sempre una sorta di adulazione nei confronti del potere politico. Tu vedi le grandi trasmissioni televisione della mattina, del pomeriggio e della sera, dove vi è un continuo parlare della politica e dei partiti, che si parlano addosso, ma le questioni vere, con le domande rispetto ad un grande ostacolo, non ci sono più. Semmai la trasmissione è il luogo dove si ottiene la reazione, la minaccia o la querela. Questo consente alla politica di abituarsi a non ricevere domande.

Io mi ricordo quando andavo in giro a fare le domande da precario e con le telecamerine. Mi trovavo di fronte politici quasi indispettiti e innervositi, perché il resto dei colleghi, tranne alcuni bravissimi e che andavano lì per trasmissioni più mordenti, erano abituati all’operatore senza giornalista o al giornalista senza microfono, cioè senza domande.

Questo produce un’informazione piatta e i giornalisti che fanno il proprio dovere vengono isolati.»

C’è una speranza per l’aumento della qualità del giornalismo?

«La speranza è vana, se non si associa con l’impegno e con il coraggio, intesi come passione e protagonismo di ciascuno di noi. Ognuno deve fare il proprio dovere e dobbiamo far capire alle persone che, se vogliono di più, devono comprare l’informazione e poter scegliere.

Se, altrimenti, preferiscono leggere solo il titolo, sfogliare mezzo giornale su Telegram o accedere ad un sito che ha ripreso un giornale, che, a sua volta, ha ripreso chi ha fatto l’inchiesta, questo significa mortificare tempo e lavoro. Significa, soprattutto, neutralizzare l’informazione libera, che, comunque, c’è ancora. Molti scandali, infatti, sono stati raccontati e continuano ad essere raccontati. Non è vero che non esiste del tutto un’informazione plurima, indipendente e autonoma in questo Paese, ma va valorizzata. Poi esiste anche una larga parte della stampa che, più che essere servita, è sdraiata. Si accontenta di accompagnare il potere e di rendergli gli onori.»

Le ultime inchieste di Nello Trocchia: il caso Baiardo e la connessione con Messina Denaro

Questi giorni lo avrete sicuramente visto in televisione nella trasmissione di Giletti, ma Nello Trocchia ha fatto molto di più. Ha scritto libri come Casamonica, o Pestaggio di Stato. Ha collaborato con numerose testate come il Fatto Quotidiano ed ora scrive molti articoli per Domani, con il quale ultimamente ha pubblicato diverse notizie importanti riguardo Salvatore Baiardo e Matteo Messina Denaro.

In questi giorni è scoppiato il caso Baiardo. Per te chi è Salvatore Baiardo? E perché ha fatto ciò che ha fatto?

«Ci stiamo occupando testardamente di Baiardo. Abbiamo svelato dei particolari interessanti, a partire dall’incontro di Baiardo con Paolo Berlusconi nel 2011. Perché lo abbiamo raccontato?

Salvatore Baiardo è di fatto il portavoce dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, noti stragisti, che da tempo e in maniera molto obliqua, sinistra e opaca mandano messaggi semi-ricattatori a Marcello dell’Utri e a Silvio Berlusconi. Abbiamo, quindi, svelato quest’incontro, mettendolo in connessione con l’atto di Baiardo di predire l’arresto di Matteo Messina Denaro. E siamo tornati ulteriormente sulla questione, raccontando un fatto nuovo, che potrebbe riscrivere la storia delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, in particolare di Cosa Nostra. Dietro l’arresto di Totò Riina ha avuto, infatti, un ruolo proprio Salvatore Baiardo. Il punto vero è che, forse, Totò Riina è stato consegnato non dal diplomatico Bernardo Provenzano, ma dai fratelli Graviano, il che riscriverebbe completamente la storia del biennio stragista tra il ‘91 e il ‘93.

Noi continuiamo a raccontare Salvatore Baiardo in maniera non solo autonoma, ma, soprattutto, sottolineando il ruolo che ha ed evidenziandone le anomalie. La prima anomalia riscontrata è che Baiardo, indicava le ville dei pentiti ai Graviano, dava le ville ai Graviano, li sosteneva durante la latitanza al Nord, ma è stato condannato negli anni ‘90 solo per favoreggiamento senza l’aggravante mafiosa e ha, quindi, scontato una pena blanda.

È uno che, nel 2011, scrive una lettera alla Corte d’Assise di Palermo, evidenziando che Giuseppe Graviano non stava in via d’Amelio, ma stava con lui a Crusinallo d’Omegna, quando il 19 luglio del 1992 saltava un’autobomba che distruggeva l’esistenza e la vita di Paolo Borsellino e della sua scorta.

E quella lettera era un falso, ma per quella lettera Baiardo non risulta neanche indagato per falso o per depistaggio.

Noi, quindi, mettiamo in fila le anomalie di questi anni. Evidenziamo che alcuni fatti, adesso noti ,potrebbero riscrivere la storia. Andiamo oltre le dirette estenuanti, prolungate e infinite alla ricerca dell’ultimo quadro di Matteo Messina Denaro, alla ricerca dell’ultimo spillo, dell’ultimo presunto e fittizio e possibile covo. Questi giorni, invece, ci hanno purtroppo svelato quanto di fatto accade sempre. La maggior parte dell’informazione televisiva, cioè, ha il bisogno di far vivere gli eventi in maniera prolungata e si accontenta delle crocchette che il padrone mette in bocca al cane. Noi dovremmo evitare di mangiare le crocchette propinate e cercare, piuttosto, di costruire noi l’agenda.

Dobbiamo provare ad entrare nel vivo delle questioni. L’importanza di questo arresto deve essere collegata alla costruzione della verità piena sulle stragi dal ‘91 al ‘93. Visto che, però, di questi argomenti, vale a dire i rapporti tra organizzazioni criminali di stampo mafioso e politici, non interessa quasi a nessuno, non dico nell’opinione pubblica, ma tra i colleghi, allora le mafie, come altre questioni spinose, torneranno (e sono già tornate) di fatto in un angolo, che solo poche testate continuano ad illuminare.»

Come muoversi tra i fatti rilevanti

Perché Baiardo è andato in televisione pubblicamente ad annunciare un arresto, per poi sporcarlo, cioè rendendo l’inchiesta trentennale sulla latitanza il frutto di un mero scambio tra le parti? E chi sono le parti? Chi ha dato e sacrificato Messina Denaro? Perché Baiardo avrebbe svelato questo retroscena?

«Il problema è questo: le cose sono sempre molto più complesse e, paradossalmente, talvolta, sono complesse nella loro semplicità. Sembrerebbe un gioco di parole, ma non lo è.

Noi abbiamo dei fatti da mettere in fila.

I fatti rilevanti, in cui è apparso il nome di Baiardo, sono semplici. C’è un signore che si chiama Salvatore Baiardo, condannato ad un pena blanda per favoreggiamento verso i fratelli Graviano. Questo indovino ha avuto un ruolo nell’arresto di Totò Riina e di Balduccio di Maggio, l’uomo che ha portato gli inquirenti ad arrestare il 15 gennaio del 1993 Totò Riina. Questo perché Baiardo è un soggetto in servizio permanente, che risponde a diversi pezzi di potere, oltre al fatto di essere portavoce pieno di Graviano. Non è una meteora, anzi è una persona che ha svolto ruoli opachi in vicende centrali nella storia del contrasto a Cosa Nostra.

Intorno a questi fatti semplici si possono aprire delle parentesi complesse.

Messina Denaro ha sicuramente abbassato le difese, in quanto malato oncologico terminale. Anche se con ritardi, al termine di un periodo di allegra latitanza nel giardino di Castelvetrano, Campobello di Mazara, si è, così, riusciti a chiudere il cerchio intorno a lui.  Come abbia potuto godere di tante protezioni si comprenderà quando si giungerà all’arresto dei fiancheggiatori, un evento che arriverà presto.

La predizione anomala di Baiardo intorno alla cattura di Messina Danaro si unisce ad un’altra predizione anomala, di cui è stato autore trent’anni prima.

Tutto ciò ci fa capire che Baiardo non è un gelataio, ma è un soggetto che è in grado di instaurare relazioni da chiarire e che sa cose che non dovrebbe sapere.»

Le indagini sulle mafie: tra complessità e sorprese

Perché ancora sembrerebbero non essere partite le indagini sulle rivelazioni?

«Per ottenere l’apertura di indagini occorre ancora tempo.

Al momento possiamo inquadrare Baiardo alla luce delle inchieste sulle stragi, incastri complicati che si snodano tra le procure di Caltanissetta, Palermo e Firenze, e spesso in assenza di coordinamento.

Sono in corso le indagini sui mandanti esterni alle stragi, nell’ambito dei quali Baiardo è stato sentito quattro volte. Allora ci chiediamo: quanto è utile il portato dichiarativo ai fini dell’indagine?

E, poi, se osserviamo, studiamo e ci documentiamo, scopriamo che nelle indagini sulle mafie, oltre a Baiardo, compaiono spesso i nomi di personaggi anomali, come il sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino, che per taluni è avvelenatore di pozzi, mentre per altri è fonte attendibile. Troviamo anche il generale Mario Mori, riconosciuto da un pezzo dell’antimafia come soggetto credibile e per un altro addirittura giunto a processo, per le opacità riscontrate rispetto alla mancata perquisizione del covo di Totò Riina. Abbiamo, poi, Massimo Ciancimino, idolatrato da alcuni magistrati inquirenti, ma successivamente arrestato per calunnia dalla Procura di Palermo, mentre Caltanissetta lo riteneva attendibile. Senza dimenticare Vincenzo Scarantino, ritenuto non credibile a Palermo, ma utilizzato nei processi sulla strage di via d’Amelio. Nei documentari su Messina Denaro ci siamo occupati di individuare quei personaggi, da alcuni dipinti come servitori dello Stato, da altri accusati di infedeltà.

Insomma, è tutto molto grigio. Noi dobbiamo scovare i fatti nella melma, ripulirli e metterli in fila.»

Il filo sottile che lega Baiardo, Cospito e Messina Denaro

Nel giornalismo il timing è fondamentale: Baiardo, Cospito e Messina Denaro sono accomunati dal 41-bis, è una coincidenza che tali fatti siano accaduti simultaneamente?

«Il paradosso è che tali casi siano avvenuti tutti nella medesima parabola temporale. E anche questo è un fatto. Noi abbiamo Baiardo, il postino indovino, che parla di ergastolo ostativo a novembre, nei giorni in cui si discute sulla legge di riforma dell’art 4-bis, all’esito dell’ordinanza della Corte Costituzionale. Abbiamo, poi, la cattura di Messina Denaro e, in qualche modo, ci ricordiamo dei Graviano, che avevano fatto richiesta di uscita nel 2021 e hanno parlato a novembre attraverso Baiardo. Ad un certo punto scopriamo anche i 100 giorni di sciopero della fame di Alfredo Cospito. Parla di 41-bis e di carcere duro. Anche su questo aspetto abbiamo provato ad essere laici, a non prendere parte. Abbiamo raccontato le anomalie, tutti gli errori e le illogicità nel comminare il 41-bis a Cospito. Abbiamo raccontato l’incitamento di camorristi, ndraghesti ed esponenti di Cosa Nostra, come Pietro Rampulla. Costui è l’uomo che aveva svolto sopralluoghi sotto l’autostrada tra Capaci e l’Isola delle Femmine, allo scopo di far saltare in aria Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e la scorta.

Anche se gli anarchici, che abbiamo intervistato, hanno detto di essere mille miglia lontani dalla mafia, occorre segnalare che pezzi da novanta della mafia sostengono la battaglia e vedono nel corpo di Cospito una possibilità di abbattere il 41-bis. Un passaggio che, secondo me, non avverrà.»