Dialogo con Della Valle: Cina e USA, guerra alle porte?

A un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina, assistiamo ad un crescendo progressivo di tensione tra Cina e Stati Uniti. Dopo la distensione dello scorso novembre, celebrata a Bali in occasione del primo incontro bilaterale tra Joe Biden e Xi Jimping, il 2023 si è aperto all’insegna dello scontro.

Alla luce del nuovo contesto geopolitico, quale ruolo eserciterà la Cina sulle sorti della guerra russo-ucraina? Dobbiamo prepararci nel breve termine ad un confronto militare tra Cina e Stati Uniti? Quali fattori potranno, invece, determinare un allentamento dei contrasti? E verso quale direzione andranno i rapporti tra Cina e Italia?

Per sciogliere questi nodi, abbiamo dialogato con Danilo della Valle, analista politico e studioso delle relazioni internazionali. Della Valle è un profondo conoscitore dell’Eurasia e blogger presso importanti testate di analisi geopolitica, come l’Antidiplomatico.

I PALLONI-SPIA: IL PROBLEMA DELLA SORVEGLIANZA RECIPROCA

La traiettoria del pallone-spia cinese abbattuto lo scorso 4 febbraio

Negli States la minaccia cinese domina il dibattito pubblico e giornalistico. La crisi dei palloni-spia, innescata dall’individuazione di un pallone aerostatico nello spazio aereo della Carolina del Sud ha, infatti, determinato la cruda reazione di Washington.

Il governo americano ha interpretato il sorvolo (non autorizzato) di un oggetto “sospetto” come un atto contrario al diritto internazionale e lesivo della propria sovranità territoriale. Pechino ha, quindi, risposto invocando cause di forza maggiore. Il governo americano, però, ha comunque ordinato di abbattere il velivolo, con ciò provocando le proteste del gigante asiatico.

Dall’analisi dell’oggetto è, poi, emerso che si trattava, in effetti, di un sofisticato dispositivo di intelligence, capace di captare comunicazioni e informazioni rilevanti. Il governo statunitense sostiene che sia stato adoperato nell’ambito di un più ampio e articolato programma di sorveglianza, che coinvolge cinque continenti, inclusa l’Europa. La Cina, dal canto suo, ha dichiarato che nell’ultimo anno ha individuato per ben dieci volte, nel suo spazio aereo, la presenza di palloni-spia americani.

Insomma, dal tenore delle simmetriche accuse emerge che l’attività di spionaggio è reciproca, costante e svolta da tempo. Perché, quindi, diviene motivo di contestazione solo adesso?

«Sì, le attività reciproche di spionaggio si svolgono da diverso tempo e costituiscono una pratica abituale. Oggi, invece, il loro svolgimento diviene un problema e si apre l’opportunità per la creazione di una polemica. Si è giunti, infatti, nella fase 2 della crisi geopolitica in atto tra Est e Ovest, in un contesto simile a quello pre-1989. Mentre la fase 1 è stata caratterizzata dallo scoppio della guerra in Ucraina e dall’inasprimento dei rapporti con la Russia, l’attuale fase ha ad oggetto l’obiettivo occidentale, incarnato principalmente dagli Stati Uniti, di affermare la supremazia sulla Cina. »

LA CINA E LA GUERRA UCRAINA: STATO PARTE O SOGGETTO NEUTRALE?

Fin dall’avvio del conflitto, la Cina si è sforzata di proporsi alla comunità internazionale come soggetto neutrale. La sua posizione, da taluni definita come di “ambiguità strategica”, esalta il principio internazionale di sovranità e integrità territoriale, per muoversi in coerenza logica con la linea assunta sulla questione Taiwan. Riconosce, dunque, le pretese ucraine al rispetto di tali principi, ma, al tempo stesso, è una delle principali acquirenti di gas, carbone e greggio russo. Individua, poi, come causa della guerra la volontà americana di estendere verso Est la sfera d’influenza della Nato.

L’ACCUSA AMERICANA: LA CINA VENDE ARMI A PUTIN

Un recente articolo del Wall Street Journal ha rimesso le carte in tavola e ha svelato un particolare ulteriore. Alcune società cinesi a partecipazione statale esportano verso la Russia dispositivi dual use, vale a dire ad uso commerciale e militare, direttamente impiegati da Putin sul campo di battaglia.

Nondimeno, nelle recenti visite in Italia e Francia, il capo della diplomazia cinese, Wang Yi, ha affermato che la Cina, portatrice di una visione neutrale e obiettiva, è pronta a collaborare con la comunità internazionale. L’obiettivo cinese, secondo Wang, è quello di approdare ad una soluzione politico-diplomatica del conflitto.

Considerati i nuovi risvolti, si può ancora ritenere che la Cina sia un soggetto neutrale, capace di svolgere un ruolo di mediatore in vista di un eventuale negoziato di pace?

«Occorre partire dal presupposto che nessuna potenza può considerarsi neutrale in senso assoluto. Ad esempio, la stessa Turchia, che si è adoperata per promuovere un incontro diplomatico tra le parti in conflitto, sostiene militarmente l’Ucraina, con l’invio di droni e di altri mezzi,. Analizzando la particolarità della situazione cinese, si deve ricordare che la Cina ha sempre professato e sviluppato un approccio win-win, volto alla cooperazione e mai alla belligeranza.

Tradizionalmente, infatti, non ha mai assunto un intervento aggressivo nelle crisi internazionali. Si può, dunque, affermare che sostenere il ruolo di mediatore rientra nelle sue corde.

Non si può non considerare, poi, che la Cina sta subendo perdite economiche dalla guerra ucraina. Prima del conflitto, infatti, costituiva uno tra i maggiori investitori nell’area, sicché esprime anche un interesse personale e diretto alla conclusione della guerra.

Allo stesso tempo, è vero, la Cina mantiene con la Russia una relazione solida. Questo, tuttavia, non è qualificabile, come un rapporto di alleanza in senso stretto, poiché gli interessi di cui sono rispettivamente portatori non sempre risultano coincidenti o complementari. La conservazione di una partnership stabile con Vladimir Putin nasce, piuttosto, dall’esigenza di garantire rapporti di qualità e amichevoli con una potenza militare, che, peraltro, è un vicino territoriale. Si badi, è una potenza con cui condivide l’obiettivo di far avanzare la costruzione di un globo multipolare.

Credo, quindi, che la Cina possa considerarsi ancora una potenza nelle condizioni di promuovere la soluzione politico-diplomatica di questo conflitto. »

UNA GUERRA MONDIALE TRA CINA E USA NEL 2025

Il generale Michael Minihan, soprintendente delle forze aeree statunitensi di rifornimento e trasporto, ha ammonito i suoi sottoposti. Li ha esortati ad approntare celeri attività di preparazione, in vista di un imminente conflitto mondiale tra Cina e Stati Uniti. Il suo inizio è previsto nel 2025.

Possiamo convenire con questa inquietante previsione?

«Ho sempre immaginato lo scoppio di una guerra calda, intesa come conflitto militare, tra Cina e Stati Uniti, come il risultato di un’escalation militare su Taiwan, ma penso che difficilmente potrà aprirsi questo scenario nel 2025. Credo, infatti, che gli Stati Uniti malvolentieri apriranno un altro fronte prima della chiusura della guerra ucraina, anche perché la combinazione di due fronti caldi comporterebbe inevitabilmente la creazione di un conflitto mondiale, estesa a tutti gli attori in campo e difficilmente sostenibile. Tentando di ipotizzare l’apertura di un nuovo scenario di guerra nel breve-medio termine, ritengo, invece, come espresso in un mio articolo, che, sia più interessante richiamare l’attenzione sull’evoluzione della crisi nei Balcani, dove potrebbe originarsi un conflitto tra Kosovo e la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina e in cui, tra l’altro, la Russia potrebbe muoversi attivamente, sì da complicare ulteriormente l’equilibrio europeo. »

GREENBERG: L’ANIMA CONCILIANTE CHE DESIDERA LA PACE COMMERCIALE

Maurice Greenberg, in arte Hank, 97 anni, è un miliardario americano che ha costruito la sua fortuna economica operando in Cina nel settore assicurativo.

Profondo conoscitore della cultura e lingua cinese, Greenberg ha amministrato l’American International Group, la prima compagnia occidentale autorizzata ad esercitare in Cina. Negli anni ‘90 ha svolto un ruolo chiave nel favorire l’ingresso della Cina presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

LA TESTA DI PONTE TRA CINA E STATI UNITI

Maurice R. Greenberg, l’uomo che può lavorare per la pace

Tra i maggiori donatori del Partito Repubblicano, ritiene che le relazioni tra Cina e Stati Uniti costituiscano la più importante relazione bilaterale nel mondo. Lo scorso anno, in vista del G20 di Bali, è tornato ad essere testa di ponte tra Cina e America. Poche settimane prima dell’atteso vertice tra Biden e Xi, il veterano delle assicurazioni è stato, infatti, il capo di una delegazione americana, autorizzata a incontrare a Washington un’ omologa delegazione cinese, composta da alti consiglieri politici e dirigenti aziendali. L’obiettivo dell’incontro era quello di discutere sulle divergenze sorte tra le parti, intorno alla questione Taiwan, alla Corea del Nord e alla guerra ucraina.

La pressione di uomini d’affari come Greenberg potrebbe convincere il governo americano a migliorare i rapporti bilaterali tra le due grandi potenze?

«In ogni realtà nazionale emergono sempre gli interessi del capitale e, anche tra coloro che appartengono alla medesima classe capitalista, insorgono conflitti. Con riguardo al caso americano, si può rilevare la presenza di uno scontro tra le imprese interessate all’interscambio con la Cina e le imprese attive in settori di rilevanza strategica, quale è la difesa. La medesima disputa si presenta perfino in Europa, quando si assiste al malcontento degli industriali europei e italiani rispetto alla sanzioni comminate alla Russia.

L’esistenza di un’ala conciliante verso la Cina potrà esercitare un ruolo determinante nel raffreddamento delle tensioni solo qualora si arrivi ad un mutamento delle posizioni sul piano politico. I falchi anti-cinesi, però, hanno finora padroneggiato in questo campo. Se ciò cambierà, lo si potrebbe capire dall’esito delle prossime elezioni presidenziali americane, che si svolgeranno nel 2024.»

L’ITALIA E LA NUOVA VIA DELLA SETA

Il 23 marzo del 2019 si celebrava a Roma un evento storico. Xi Jimping e l’allora Presidente del Consiglio della Repubblica Italiana, Giuseppe Conte, presenziavano alla firma del Memorandum d’Intesa, volto a proiettare l’Italia nell’orbita della Nuova Via della Seta, al fine di instaurare una cooperazione ad ampio spettro, che si estende dallo sviluppo delle reti infrastrutturali alla promozione di scambi interculturali.

L’accordo ha suscitato in Italia la reazione contraria delle opposizioni, in particolare di Fratelli d’Italia. In un’intervista alla Cna, agenzia di Taiwan, Giorgia Meloni, ha confermato che l’aver stipulato il memorandum è stato un grosso errore. Sull’eventualità di un rinnovo è stata lapidaria: “Se mi trovassi a dover firmare il rinnovo di quel memorandum domani mattina, difficilmente vedrei le condizioni politiche”.

COSA DECIDERÀ GIORGIA MELONI?

Il dossier è pronto da mesi sul tavolo di Palazzo Chigi. Il governo italiano avrà tempo di meditare fino a dicembre del 2023, salvo l’operare del rinnovo automatico.

Data la storica posizione di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia, dobbiamo attendere l’uscita dell’Italia dalla Nuova Via della Seta?

«La stipulazione del Memorandum d’Intesa tra Italia e Cina ha comportato l’introduzione di qualcosa di nuovo, un atto in controtendenza con la tradizionale linea della politica estera italiana, un accordo capace di creare mal di pancia a casa, in Europa e oltreoceano. Occorre segnalare, infatti, che Germania e Francia erano interessate ad evitare che l’Italia diventasse tra i primi Stati UE a siglare un simile accordo.

Probabilmente questo atto è da annoverare, persino, tra le cause della caduta del famigerato “governo gialloverde”, il primo governo presieduto da Giuseppe Conte.

Nel dibattito pubblico nazionale, che si concreta in uno scontro tra tifoserie, si assiste ancora, a 5 anni dall’intesa, al dominio di una tendenza anti-sinista. Non si è portati a domandarsi se la Nuova Via della Seta sia effettivamente un progetto conveniente per l’Italia. Con fare manicheo, invece, preferiamo schierarci con uno schieramento o l’altro.

Detto ciò, non credo che il governo italiano sia nelle condizioni di assoggettarsi completamente a Washington.

Il fatto che Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia abbiano adottato nell’ultimo lustro una posizione netta in senso contrario all’intesa non costituisce un ostacolo. Si può attendere una retromarcia.

In ragione della cura degli interessi nazionali, infatti, il governo italiano non opererà in modo azzardato. Non agirà nel senso di danneggiare le relazioni bilaterali con la Cina. La diplomazia italiana potrà tentare, al più, di limare alcune sfumature. »