Perché è bene non generalizzare in questa emergenza

Siamo davvero tutti nella stessa situazione in questo periodo?
Ebbene, no, come non lo siamo normalmente non lo siamo nemmeno ora.

Pullulano in questi giorni le ricette su come impostare magicamente bene la propria giornata. Ricordando le sagge parole di una tutor, «mai fidarsi di chi dà ricette pronte», mi sono soffermata sul fatto che non tutti abbiano un lavoro da ufficio che sia facilmente riorganizzabile su una scrivania ben pulita e ordinata. Sono consigli utili quelli che propongono di tenere l’essenziale a portata di mano o di non rimanere seduti tutto il giorno, magari in posizioni poco raccomandabili per la postura. Non sono, però, utili a tutti. Per esempio, chi si occupa di ristorazione non è ben sistemato una volta posizionati su un tavolo un portatile, un blocco appunti, delle matite e stabilita una buona connessione. Perlomeno non gli basterà: probabilmente avrà maggiormente bisogno di organizzare le consegne a domicilio. A quel punto avrà anche bisogno di sapere come utilizzare i dispositivi di sicurezza previsti.

Esattamente come prima del coronavirus, dobbiamo renderci conto che non esiste soltanto il lavoro in ufficio. Si è, forse, sedimentata in noi questa immagine del lavoratore come l’uomo in giacca e cravatta o la donna in camicia e tacchi che va a lavoro con una valigetta, attraversando la città e andando verso un ufficio ad un qualche piano di un qualche palazzo. Andrà in riunione, berrà caffè per rimanere sveglio davanti ad un computer e forse, ad oggi, uscirà anche per una pausa all’aperto e di tanto in tanto farà particolari esercizi di ginnastica praticabili anche dalla postazione di lavoro. Molti sono, in effetti, i lavoratori che vivono questa realtà, ma dobbiamo aggiungere i lavoratori che vanno in fabbrica, a ripetere logoranti catene di lavoro durante tutto il turno e che certo non penseranno di andarvi con abiti tanto eleganti o tacchi e avranno problematiche completamente diverse. Altre difficoltà ancora incontrerà chi sta già fuori quasi tutto il giorno, ad occuparsi di campi e animali, serre ed orti. E chi cucinerà o farà il cameriere, contrariamente a chi sta seduto in ufficio tutto il giorno, non vedrà l’ora di potersi fermare un attimo e dare tregua a piedi e gambe.

Senza nulla voler togliere alla prima categoria di lavoratori descritti, ma nemmeno alle altre, è giusto sottolineare l’infinità di possibili sfaccettature che la parola lavoro riassume in sé e le conseguenti diverse situazioni che ogni persona si troverà ad affrontare.

Senza contare che in questo momento potremmo trovarci in casa con diverse variegature della definizione di famiglia e generalizzare nelle soluzioni non aiuta nemmeno qui: così come certe coppie dopo un periodo di, praticamente forzata, convivenza potrebbero trovarsi in difficoltà, certe altre potrebbero essere rimaste divise per i più svariati motivi: chi senza la possibilità di convivere, chi per impegni lavorativi. A proposito di quest’ultimo punto, si pensi, per esempio, a tutte le persone che hanno dovuto lasciare a casa i propri figli e/o il proprio partner per recarsi stabilmente all’ospedale come medici o infermieri. Eppure anche loro sono persone quanto noi e come noi potrebbero contrarre il coronavirus. Per quanto li si possa, direttamente o indirettamente ringraziare, ci sono cose che rischiano o potrebbero perdere che rimangono impagabili e difficili o impossibili da restituire. Come spesso concludo, questo non è un rimprovero, ma un invito a prendere consapevolezza.

Perchè abbiamo tutti in comune l’appartenenza alla razza umana, ma tendenzialmente ognuno di noi vive situazioni diverse in modi diversi e non dovremmo dimenticarlo.