Quando neanche la Costituzione è più sufficiente

Con il termine della Seconda Guerra Mondiale, scoppiò la crisi del  giuspositivismo (o positivismo giuridico), dottrina filosofica che sostiene come unico diritto contemplabile quello, appunto, positivo, in vigore in un determinato ambito politico-territoriale, in un determinato spazio temporale, posto dal potere dello Stato attraverso l’assetto normativo. In tempi precedenti, questa corrente di pensiero era risultata preponderante, poiché legata a doppio filo con il principio di legalità, cardine degli stati moderni.

Questa concezione, tuttavia, riservò dei risvolti tragicamente inaspettati che si manifestarono nel corso del XX secolo. Il positivismo giuridico, infatti, si tramutò in strumento alla mercè dei totalitarismi. I più spietati dittatori della nostra storia recente, quali Hitler e Mussolini, fortificarono la loro ascesa mediante lo strumento normativo, rendendo così perfettamente legali le loro condotte dal carattere disumano, come le sciagurate leggi razziali, in Italia promulgate nel 1938.
In questo modo, gli imputati al processo di Norimberga vennero accusati di aver commesso azioni che, paradossalmente, risultavano in linea con l’ordinamento giuridico al quale erano sottoposti: la norma consentiva il loro odio cruento e sprezzante.

Di fronte alle suddette nefandezze, come anticipato, il giuspositivismo subì una netta messa in discussione che portò a un suo ridimensionamento e all’imporsi del giusnaturalismo, basato sull’idea che gli uomini possiedano dentro di sé un’idea di diritto, naturale, che preesiste rispetto a quello positivo, ma che comunque non lo rigetta, anzi, se ne serve. Ciò si consuma in un clima di sfiducia nei confronti della legge ordinaria, la quale viene considerata labile, troppo flessibile alla volontà del legislatore di turno.

Conseguentemente, si afferma l’adozione di costituzioni lunghe e rigide come quella italiana del 1948, sulle quali vi fu l’intento di fissare i principi sul quale fondare il viver comune, intrisi di innato collegamento con la dignità dell’uomo, posti a sua salvaguardia. A tal fine,  questi baluardi di giustizia sono custoditi dalla loro posizione gerarchicamente sovraordinata alla legge ordinaria (la quale non può con loro entrare in contrasto), protetti da un iter di riforma caratterizzato da una procedura rafforzata e, addirittura, considerando la nostra Carta, incastonati in articoli, 12, non soggetti a revisione, ai sensi dell’art. 138 Cost.

Oggi ci imbattiamo in una nuova crisi, questa volta del giusnaturalismo. Constatiamo l’attacco feroce perpetrato dal liberismo che si è tramutato in ordoliberismo. Infatti, alle lobby finanziarie non pare più sufficiente insinuarsi tra gli attori politici con la loro sfera di influenza, la legge ordinaria pare ormai poca cosa ai loro occhi, motivo per cui tentano, dunque, talvolta con successo, talvolta scontrandosi col muro della volontà popolare, di porre al proprio servizio la Costituzione, emblema del giusnaturalismo.

È così che la nostra Carta ha visto ribaltata la sua vocazione alla piena occupazione e al welfare con la riforma dell’art. 81 tramite la legge costituzionale 01/2012, introducendo il pareggio di bilancio, il quale implica ingenti riduzioni della spesa pubblica, favorendo, come naturale conseguenza, il settore privato. Per assurdo, il liberismo, dottrina della mano invisibile, che rigetta con disprezzo l’intervento statale, si serve dello Stato per rinvigorirsi.

È perciò evidente che nemmeno le Costituzioni sono più esse stesse al riparo e, di riflesso, in grado di fornire protezione da attentati perpetrati contro l’interesse del cittadino. La strada potrebbe essere l’introduzione dell’obbligo di sottoporre a referendum ogni revisione della legge suprema, scatenando più facilmente un dibattito interno al Paese, ossia ciò che non è avvenuto con la modifica dell’art. 81 Cost., stravolto nel silenzio generale.