Queer: origini del termine legato all’attivismo LGBTQ+ e il DDL Zan

Nel dibattito scientifico, così come nell’attivismo, negli ultimi anni si è sempre più diffuso il termine «queer» quale ulteriore prospettiva per rendere conto della molteplicità degli orientamenti e delle identità sessuali.

Esso trae origine dalla lingua inglese. Dal punto di vista etimologico, in inglese il termine è attestato intorno al 1500 e significa «strano, particolare, eccentrico». Molto probabilmente l’origine più remota è germanica, in tedesco, infatti, troviamo l’aggettivo quer, che ha il significato di «obliquo, perverso». Anche il verbo inglese to queer, in origine, ha un senso prettamente negativo che significa «andar male, andare in rovina».

Dunque, prima ancora che avere un significato prettamente connesso con la sessualità deviante, il termine ha a che fare con la deviazione e con la devianza in quanto tale. Solo successivamente il termine fu attribuito nel 1925 dalla rivista teatrale americana «Variety» agli «omosessuali maschi effeminati». Del resto, se il termine gergale per indicare l’uomo o la donna eterosessuale è, in inglese, straight, con il significato di «diritto, giusto, convenzionale», per opposizione l’omosessuale, e in generale chi «devia» dalla norma etero sessuale viene considerato queer. Ciò che è interessante notare è che il dualismo tra norma e devianza, da un lato, non è una semplice contrapposizione, ma è fondato su un giudizio di valore (positivo contro negativo, buono contro cattivo, ecc). Dall’altro, è interessante notare che questo dualismo ha un duplice aspetto: da un lato oppone eterosessualità (corretta) a omosessualità (scorretta), dall’altro, oppone maschilità (corretta) a femminilità (scorretta), stereotipi sociali e costrutti mentali che dunque sono stati largamente influenzati dalle aree semantiche a cui i termini stessi sono associati.

Nel vocabolario LGBTQ+, il termine queer si usa per indicare quelle persone il cui orientamento sessuale e/o identità di genere differisce da quello strettamente eterosessuale o cisgender: un termine-ombrello, si potrebbe dire, per persone omosessuali, pansessuali, bisessuali, asessuali, transessuali, transgender e/o intersessuali. Non è però un sinonimo di LGBT poichè il termine queer viene utilizzato anche quando una persona della comunità LGBT non vuole etichettare il suo orientamento sessuale o definire la sua identità con un’etichetta.

Sul piano dell’attivismo politico, il termine queer, viene adottato consapevolmente negli anni a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e i primissimi anni Novanta designando coloro che sono politicamente attivi nel panorama dell’intersezionalità delle lotte LGBTQ+ supportando la comunità come soggetto composito, ma unitario e non come soggetti a sé stanti, e che rifiutano con forza le tradizionali identità di genere e le categorie dell’orientamento sessuale definite tramite etichette. Concretamente, a partire dagli Stati Uniti, queste nuove alleanze si sono formate in un contesto di forte recrudescenza dell’omofobia conseguente all’esplosione dell’epidemia dell’AIDS.

Il termine queer si utilizza dunque per designare la rottura con la norma eterosessuale o cisgender. All’interno del contesto delle diversità sessuali ha assunto uno specifico significato che vuole mettere in discussione la distinzione tra sesso, orientamento sessuale e identità di genere e che ci ricorda quanto articolati e complessi sono i differenti aspetti che compongono le identità.

Lotte per i diritti e la tutela della comunità LGBTQ+ e in generale di tutte quelle persone che non si sentono riconosciute e tutelate per la loro identità di genere e/o orientamento sessuale sono portate avanti quotidianamente non solo da attivisti, ma anche da partiti e governi.

A questo proposito in Italia era stato approvato lo scorso novembre alle Camere il tanto discusso DDL Zan, un disegno di legge contro l’omotransfobia e la misoginia da allora ancora fermo al Senato.
Il DDL prevede diversi obiettivi tra cui quello di estendere la pena detentiva per chi commette violenze e atti discriminatori spinte da ragioni legate al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, alla disabilità e all’identità di genere. Il DDL punta inoltre a diffondere una cultura della tolleranza e del rispetto, attraverso programmi scolastici di sensibilizzazione contro le discriminazioni spinte dall’omotransfobia e l’istituzione di una Giornata Nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia che in Italia ancora non esiste. In questi giorni la calendarizzazione per la discussione del DDL in Senato è stata fatta slittare ulteriormente dal leghista Ostellari, atto interpretato dal PD come un tentativo di ostruzionismo da parte della Lega.

Paesi come Danimarca, Francia, Norvegia, Paesi Bassi, Svezia e Islanda già da anni hanno leggi severe in merito a queste tematiche. Il DDL Zan è dunque l’opportunità che ci porterebbe non nel futuro, ma fuori dal Medioevo.