Renzi e le sue «pressapoco-Enews»

Come ogni settimana, ieri abbiamo ricevuto la newsletter di Matteo Renzi: il premier ha voluto farci sapere il suo punto di vista sulle riforme costituzionali, sul suo viaggio istituzionale in Iran, sulla sua presenza a Vinitaly a Verona e sul referendum delle trivelle. Proviamo a esaminare le sue parole.

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Parlando del ddl Boschi, Matteo Renzi spiega che è un «passaggio di portata storica per il nostro paese». In effetti non c’è modo migliore di definire la fine del bicameralismo perfetto a favore di un senato di consiglieri regionali e di sindaci le cui competenze sono davvero poche. Da qui si passa poi al sentimentale: «Vi confesso di vivere una forte emozione: lʼidea che ‒ seguendo le procedure democratiche previste dalla Costituzione stessa ‒ si sia fatta la riforma di cui tutti sottolineavano lʼurgenza ma senza essere in grado di cambiare davvero, mi riempie il cuore di responsabilità. Ma anche di gioia: perché per una volta la politica ha dimostrato di saper cambiare. E persino di cambiare se stessa, di ridurre i propri privilegi e i propri scranni»: ci immaginiamo il premier intento a scrivere queste righe mentre cerca di soffocare le lacrime di commozione dinanzi a una svolta di portata così ampia di cui matteo-renzi1si è fatto portavoce. Siamo stati ciechi a non accorgerci che «tutti sottolineavano l’urgenza» non solo di abbandonare il bicameralismo paritario, ma anche (e soprattutto) di ridisegnare i poteri del parlamento come vengono definiti dal ddl Boschi: ormai andare in giro per Padova (ma riteniamo che ogni città d’Italia corrisponda a questa descrizione) era diventato impossibile con quelle folle che esigevano a gran voce la riforma del senato.
Si passa poi alla questione del referendum «sulle trivelle» che sulle trivelle non è, secondo Matteo Renzi: «Non cʼè una sola trivella in discussione: solo la scelta se continuare a estrarre carbone e gas fino allʼesaurimento del giacimento senza sprecare ciò che già stiamo utilizzando oppure fermarsi a metà alla scadenza della concessione», in effetti carbone e gas possono essere estratti facilmente a mani nude, o al limite con martello e scalpello, senza utilizzare nessuna trivella che, pur non essendo un termine tecnico, rende perfettamente l’idea. Il premier fa notare, in modo a dir poco lapalissiano, che il referendum è stato «voluto dai consigli regionali, non dai cittadini». Il problema è che, detta così, pare voler denunciare un qualche abuso di potere da parte delle 8 regioni coinvolte, quando invece si è solo esercitato per la prima volta nella storia della Repubblica un diritto sancito dalla Costituzione. Citando nientepopodimeno che il presidente emerito Napolitano, Renzi si lascia andare a un’imprecisione che potrebbe sfuggire: «Nel caso di un referendum con quorum sostenere le ragioni di chi non vuole andare a votare ha la stessa identica dignità di chi dice sì o no». La frase regge ma non è una risposta alle contestazioni ricevute per la campagna a favore dell’astensionismo: un comune cittadino può invitare gli altri a non votare, il presidente del consiglio ‒ come chiunque ricopre cariche pubbliche ‒ no, per legge.
Matteo Renzi, se questo è un premier: già nel 2014, quando è andato a Palazzo Chigi, era difficile trovare un personaggio meno pressapochista, ma ogni giorno che passa affina la sua arte e prima o poi sarà eletto «Principe del più o meno».