Carlo Michelstaedter: la philopsychia di Renzi

Carlo Michelstaedter (1887-1910)
Carlo Michelstaedter (1887-1910)

Carlo Michelstaedter, filosofo goriziano, ci ha lasciati 105 anni fa: il 17 ottobre 1910, a soli ventitré anni, si uccise subito dopo aver concluso La persuasione e la rettorica, sua tesi di laurea e suo testo fondamentale. Breve bignami: se vogliamo proprio dirlo in parole povere, «persuaso» è colui che si accontenta del presente, senza proiettarsi sempre nel futuro, e per questo – non desiderando null’altro che ciò che attualmente ha – la morte non gli fa paura, poiché essa non può togliergli niente; la «rettorica» per il filosofo goriziano è invece quell’insieme di schemi che condizionano la nostra vita quotidiana: tutte le regole che ci insegnano da quando siamo bambini ma di cui non comprendiamo la vera ragione, finché non le abbiamo assimilate così tanto da non porci più neppure domande. Oltre a queste due «vie» opposte, c’è anche quella che Michelstaedter chiama la philopsychia, l’«amore vile per la vita», che consiste invece in un continuo proiettarsi nel futuro, in una vita tutta concentrata nel conseguimento degli obiettivi prefissi. Questa è, citando ancora il goriziano, una «persuasione inadeguata»: l’uomo in questo modo non riesce a vivere senza soffrire, non riesce a vincere la paura della morte.

Foto da ilfattoquotidiano.it
Foto da ilfattoquotidiano.it


Mi perdonino i lettori per la lezioncina di filosofia ma, non potendo pretendere che chiunque conosca il pensiero di Michelstaedter, era d’obbligo per proporvi un paragone abbastanza ardito, anche se – a mio parere – alquanto appropriato: l’esempio perfetto di adepto al dio della
philopsychia non è forse Matteo Renzi?
Eh sì, proprio lui, sempre proiettato nel futuro, colui che, appena divenuto presidente del Consiglio, promise «cambieremo l’Italia in 100 giorni», poi i giorni diventarono 1000 e ora invece bisogna aspettare 10 anni. Ma avrà futuro la politica di Renzi? Per sua natura essa è il futuro: in Matteo non ci può essere presente: l’oggi è il tempo del fare, delle promesse realizzate; ed è troppo difficile porre in atto tutto quello che si è detto quando la mole di parole è così grande che nessuna memoria potrebbe mai contenerle tutte. L’oggi di Renzi è arrivato solo poco prima delle elezioni europee dell’anno scorso, con gli 80 euro, elemosina elettorale: ma questa non era una boccata d’aria dalla
philopsychia che soffoca il nostro premier: l’avvento dell’oggi non era fine, ma solo mezzo per il raggiungimento di uno scopo altro.
Chissà cosa accadrà quando una «morte» (intesa in senso metaforico, citando Michelstaedter) inizierà a toglierci il domani, quando Renzi non sarà più in grado di promettere perché la nostra vita sarà divenuta troppo corta per dimenticarci delle sue parole. Renzi non
è l’«ultima spiaggia», come s’è definito egli stesso e come lo celebrano i giornaloni servi: il premier sta diventando l’ultima possibilità di questo paese perché è lui, insieme alla sua koinonìa kakon (la «comunella dei malvagi», citando ancora il filosofo goriziano) che ci sta uccidendo il futuro.

Tito Borsa