La riforma Boschi e le donne, specie da tutelare

Uno dei cavalli di battaglia del «Sì» alla riforma costituzionale riguarda le donne, le quali verrebbero maggiormente valorizzate e tutelate nell’ambiente politico. Sarà vero?

Elaborazione grafica di Flavio Kampah Campagna
Elaborazione grafica di Flavio Kampah Campagna

Vi riportiamo qui a sinistra i due commi della «nuova» Costituzione riguardanti la parità fra uomini e donne nella rappresentanza. Se li leggete bene, e li mettete in rapporto con tutto il resto del corpus della schermata-2016-10-18-alle-10-43-48riforma, vi accorgerete presto che c’è del marcio in Danimarca. C’è qualcosa di strano, qualcosa che puzza. In effetti avete ragione, proviamo a vedere qual è il problema.
In sostanza, i due commi dicono la stessa cosa: l’articolo 55 si riferisce al parlamento e alla legge elettorale, l’articolo 122 alle Regioni e quindi alle leggi per l’elezione dei consigli regionali. Ma il succo del discorso è lo stesso: se passa il «Sì», nella nostra Costituzione sarà presente «l’equilibrio fra donne e uomini nella rappresentanza». Gioiscono le femministe della domenica, noi invece piangiamo lacrime amare.
Come si possa conciliare un diktat costituzionale di tal genere con l’esercizio della sovranità popolare è un mistero.
Finché la legge elettorale è l’italicum dobbiamo fare i conti con questa legge elettorale che effettivamente sposa pienamente quanto scritto nella riforma costituzionale: per favorire l’alternanza di genere, vi è l’obbligo di designare capilista dello stesso sesso per non più del 60% dei collegi nella stessa circoscrizione e di compilare le liste seguendo l’alternanza uomo-donna, e in più l’elettore, se vorrà esprimere non una ma due preferenze, dovrà scegliere due candidati di sesso diverso.
È assurdo, non convenite? Da una parte è quasi ricattatorio imporre al cittadino un baratto di questo tipo: ti do un po’ più di sovranità ma tu non puoi esprimere la tua preferenza per due persone di sesso uguale. Così alla fine si avranno degli elettori «più sovrani» perché hanno ceduto, e degli elettori «meno sovrani» perché, per una questione di principio o per un’assenza di idee, non hanno ceduto al ricatto. Dall’altra parte è un’illusione che questo procedimento porti a una minore discriminazione: chi pensa che le donne non siano fatte per la politica non esprime la seconda preferenza e stop.
Ancora più assurdo l’obbligo di designare capilista dello stesso sesso per non più dei tre quinti dei collegi. Proviamo a farvi un esempio su piccola scala: 

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Abbiamo quindi questa situazione. Ma se, in una scala per competenza, preparazione e idoneità al ruolo, i primi 8 posti sono occupati da persone dello stesso sesso? Il risultato è che dovremmo «scartare» qualcuno per mettere al suo posto qualcun altro di meno idoneo ma di sesso diverso. Capite la follia?
Questa riforma costituzionale è l’ennesimo provvedimento che non tratta le donne al pari degli uomini, bensì come «specie da salvaguardare», in via d’estinzione e quindi che va tutelata.
Le donne dovrebbero sentirsi offese: non è emanando dall’alto un diktat per la parità di genere che si eliminano le discriminazioni e le disuguaglianze di trattamento. La soluzione è molto più concreta e banale: prima di tutto permettere ai cittadini di scegliere tutti i membri del parlamento, poi candidare uomini e donne preparati, e permettere loro di mostrare la propria preparazione. Non siamo un paese così imberbe da aver bisogno sembra della baby-sitter, in questo caso del Legislatore che ci dice che donne e uomini hanno il diritto di avere le stesse possibilità.