Riforme in Spagna: impariamo da loro

In una Europa che sbanda sempre più verso destra, la Spagna di Sanchez e Iglesias sceglie consapevolmente di andare controcorrente.
Il governo dichiaratamente socialista ha raggiunto infatti una accordo sulla legge di bilancio che i giornali spagnoli non hanno esitato a bollare come «la finanziaria più a sinistra della storia della Spagna».

Il testo della riforma prevede infatti tra le altre cose l’aumento del salario minimo da 735 euro a 900 mensili (con l’idea di portarlo a 1.000 nel 2020), l’aumento delle imposizioni fiscali per i redditi oltre 130.000 euro, l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie ed una riforma del mercato degli affitti.

Ma non è tutto, nella manovra sono presenti anche maggiori tutele per i precari, un aumento dei controlli sulle partite Iva e una patrimoniale per i possessori di beni che raggiungono un valore maggiore a 10 miliardi di euro.

Quello che più stupisce, però, sono gli impressionanti interventi per quanto riguarda welfare e sociale, dove sono previste misure volte a contrastare la povertà, a protezione delle categorie più deboli e aiuti concreti alle famiglie in difficoltà, oltre alla parificazione dei permessi di maternità e paternità a 16 mesi ed un accesso facilitato ai sussidi di disoccupazione.
Nel testo sono inoltre rinvenibili anche un aumento dei contributi per i figli a carico, un aumento degli investimenti in edilizia popolare ed un controllo pubblico sui prezzi degli affitti, volto a ridurre i costi degli stessi nelle città più popolose.

Una testo, quello della finanziaria spagnola, che lascia i più a bocca aperta anche per via dell’aspetto economico: il ministro delle Finanze Montero avrebbe dichiarato che nonostante i costi di attuazione si attestino intorno ai 2 miliardi di euro, le entrate dello stato potrebbero essere di almeno 5 miliardi, grazie alla riforma fiscale e alla crescita economica.

La Spagna getta dunque le basi per diventare il nuovo faro della sinistra europea e, a differenza di quanto accade in Italia, pone realmente al centro del dibattito politico-economico i cittadini e le classi più svantaggiate, cosa che pare ripagare il governo con sondaggi di gradimento politico ai massimi storici.

Tutto ciò ha una sola spiegazione: i cittadini spagnoli non si sono dimenticati di cosa siano la sinistra, i suoi ideali e le sue ricette economiche, ci credono ancora e in essa vedono uno spiraglio di luce per il futuro.

C’è da scommettere che anche in Italia le grandi masse si getterebbero a capo fitto tra le braccia di una riforma social-democratica se questa esistesse, fosse equa, coerente e realizzabile come quella spagnola.
Il tempo scorre però inesorabile per il nostro Paese e l’aumento sempre più impressionante di consenso, soprattutto da parte di operai e classi svantaggiate, a partiti xenofobi e liberisti dovrebbe quantomeno destare preoccupazione e generare alcune domande in coloro che quelle persone si propongono di rappresentarle politicamente nelle stanze del potere.

Anche se l’aria che si respira in Italia odora sommessamente e subdolamente di «eau de 1922», potrebbe non essere ancora troppo tardi per la sortita del Bel Paese dal baratro d’incertezza e ignavia in cui è sprofondato.
La strada è tracciata, le orme ben visibili, laggiù, oltre i Pirenei.