Roma: il «contratto» della Raggi potrebbe strapparla dal Campidoglio

Il 13 gennaio Virginia Raggi potrebbe essere costretta a dimettersi a causa del contratto ha firmato con la Casaleggio Associati per potersi candidare a sindaco di Roma. L’avvocato Venerando Monello, che ritiene per questo l’esponente del Movimento 5 stelle ineleggibile, si è infatti appellato alcuni mesi fa alla magistratura, che si pronuncerà a inizio 2017.
Al di là degli aspetti legali, la questione ha comunque parecchi punti oscuri. Primo, tale contratto è diverso da quello pubblicato nel blog di Beppe Grillo, che, di fatto, ha nascosto l’originale. Come ricorda Monica Cirinnà, senatrice del Pd, l’originario, pubblicato grazie all’intervento della stessa «è differente nella parte che contiene l’accettazione espressa da parte della Raggi di alcune clausole vessatorie, tra le quali della penale da 150mila euro». Tale circostanza farebbe «di questo così detto codice etico un vero e proprio contratto. Altro che impegno di natura etica e non giuridica come si sono affrettati a definirlo nelle loro rispettive difese» e sarebbe la causa principale della suddetta ineleggibilità. Il contratto prevede infatti che per ogni decisione importante ci si debba rifare direttamente ai garanti del Movimento, ovvero a Beppe Grillo e a Casaleggio, che inoltre hanno anche la possibilità di richiedere le dimissioni dell’amministratore se considerato reo di inadempienze. In sostanza, è previsto che soggetti privati abbiamo un potere diretto sulle decisioni politiche di un sindaco che, almeno per quanto previsto dalla nostra Costituzione, dovrebbe rispondere solo ai cittadini che la hanno eletta senza avere un rapporto di dipendenza totalmente esplicita con una società privata. Questa visione, inoltre, stride anche col famoso slogan «uno vale uno» più volte ribadito dal Movimento stesso. Un altro punto spinoso dell’accordo è il fatto che l’interesse è costantemente posto sul partito più che sul Paese: la cosa più importante sembra essere che l’agire politico non leda «l’immagine del Movimento». Risulta poco chiara anche il comportamento della stessa Casaleggio Associati che, da quanto si legge, sembrerebbe avere un chiaro ruolo politico e decisionale, ben lontano da quell’azienda di consulenza strategica esperta in servizi IT che dichiara di essere. Si scorge, inoltre, un principio di conflitto di interessi nell’obbligo di usare il blog di Grillo, interamente privato, come principale fonte di comunicazione.
Le carte gettano nuova luce anche sul caso Marra. Il contratto ribadisce, infatti, che ogni collaboratore deve essere approvato dalla dirigenza del Movimento e questo stride col tentativo di smarcamento operato da Di Maio, che ha dichiarato che i vertici sarebbero sempre stati contrari al vice capo di gabinetto.
Probabilmente le parole più azzeccate sulla vicenda sono quelle di Claudio Cerasa, direttore del Foglio, secondo il quale «la questione è evidente: può essere parte di un sistema democratico un movimento che non rispetta un principio costituzionale chiave come quello contenuto nell’articolo 67 (“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”) e che spaccia per democrazia diretta una democrazia diretta da una società privata (la Casaleggio Associati) non eletta da nessuno ed eterodiretta da un blog solo al comando (beppegrillo.it) che fattura anche grazie alla pubblicità generata dai contatti ricavati dalle dirette streaming che le giunte grilline (Roma sì, Torino no) regalano al blog in assenza di qualsivoglia gara pubblica o di apposita concessione?».