Rugby: trentesima sconfitta consecutiva per l’Italia. Che ci facciamo ancora nel Sei Nazioni?

Incominciamo facendo presente a chi non segue il Sei Nazioni che lo scorso sabato, nel torneo di rugby più importante dell’emisfero nord, la nostra nazionale è stata protagonista della sua trentesima sconfitta consecutiva.
Questa notizia rappresenta comunemente un punto critico nei confronti della gestione ovale del Bel Paese. Basta farsi un giro sui social e sulle pagine dedicate, sui giornali sportivi e non per rendersi conto dello stato d’animo ormai altamente disfattista oppure eccessivamente infuocato all’interno di una bolla che sta sul punto di esplodere.

Le ragioni per cui il rugby in Italia va così tanto male da palesarsi sulla nazionale maschile e sui suoi risultati, sono da cercarsi in una matassa di problemi che per ovvie ragioni di spazio qui non riusciremmo ad analizzare, tutta via per chi fosse interessato all’argomento, trova nell’articolo di Alessandro Ferri uno sguardo concreto sul problema complessivo.

Quindi finisce qui? No. Ci sono alcune problematiche che anche per chi non è addetto ai lavori si possono comunque introdurre, iniziando ad individuare una risposta alla domanda posta dal titolo.
Prima di tutto, perché perdiamo così tanto? Dopo l’ ennesima sconfitta questa è una delle domande più ovvie. Il problema va detto subito, sta in molti campi, come su un pannello di controllo in cui ci sono molte spie accese.

Innanzitutto, il movimento rugbistico italiano è per così dire esploso solamente vent’anni fa. Sebbene più maturo, il rugby nostrano ha per così dire raccolto l’interesse dei più solo di recente, portando quindi ad una consapevolezza dell’importanza integra e atletica di questo sport da pochissimo tempo.
Questa è una delle questioni che ci portano alle sconfitte in nazionale? Se vogliamo sì. Il fatto che dà così poco tempo si parli di rugby in Italia e che quindi solo recentemente più persone ne sono attratte a tal punto da essere tesserate, ci apre uno sguardo al movimento in termini numerici.

I tesserati ovali in Italia sono circa 83.000 (Fonte Fir 2018 – preso atto che nel 2014 erano più di 100.000). Siamo ciò al quindicesimo posto dopo altri sport come il golf o le bocce, per non parlare del calcio che ne conta più di 1 milione.
Se questo numero vi sembra aver poco senso rapportato alle sconfitte, confrontiamolo allora col numero dei tesserati dei Paesi contro cui giochiamo nel Sei Nazioni, come la nostra cugina francese che ne può vantare oltre 400.000, oppure l’Irlanda che su nemmeno 5 Mln di abitanti conta circa 172.000 tesserati; ancora più impietoso è il confronto con l’Inghilterra che ne conta più di 2Mln.
C’entra tutto questo? C’entra. Se consideriamo che tornando in Irlanda, ogni 5.000 abitanti ci sono circa 10 squadre di Rugby mentre in Italia bisogna scavare ogni 20.000 abitanti per trovarne una, allora spunta immediatamente il divario, cosa tutt’altro che da sottovalutare, poiché è fondamentalmente la base di lavoro del movimento ovale.

Questi numeri sono frutto di differenze culturali, certo, ma anche di una visione da parte della Federugby poco lungimirante nell’attrarre più tesserati, che poi va ricordato, non sono automaticamente tutti praticanti!
Ma allora perché nonostante le differenze giochiamo nel Sei Nazioni? Ne siamo all’altezza? Questo è l’argomento più spinoso da affrontare. Il Sei Nazioni crea spettatori, quindi interesse da parte di pubblicità, sponsor e diritti TV. Questi generano introito per le varie federazioni nazionali che possono poi reinvestire i soldi nelle proprie franchigie e nel movimento di ogni singolo paese.
Bene, la Federazione Italiana di Rugby fattura il 43% circa dei suoi profitti proprio sul 6 Nazioni ( sui dati preventivi 2019) ed è la quarta federazione sportiva in termini di fatturato nel nostro paese. Quindi è facile scorgere il motivo per cui l’Italia continua a partecipare al torneo, pur non portando però a casa risultati validi ad animare interesse.

Qui abbiamo aperto solo una breccia all’interno di un dibattito molto più ampio. Bisognerebbe infatti analizzare le vittorie e i risultati della nazionale femminile, per rendersi conto che li la questione è ben diversa. Tuttavia, rimanendo sul pianerottolo possiamo già intravedere un grosso problema: se si continua a perdere, come si può sperare di poter tirare avanti?
Tra pochi giorni il Consiglio Fir verrà rinominato e praticamente tutti sperano in un cambio di rotta, nonché nel veder provare la federazione a iniziare a rispondere alla difficile domanda appena posta e far tacere così un giorno anche quella riportata alla testa di questo articolo.