Salvo Lima, i retroscena del suo omicidio – Parte 2

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La riunione a cui presero parte sia esponenti della Commissione provinciale che di quella regionale fu vista dagli stessi come un qualcosa di straordinario, poiché, di solito, quando veniva commissionato un omicidio, lo si faceva all’interno dei confini della provincia in cui si era presenti, mentre quella volta si andò a parlare di compiere assassinii in provincia di Palermo, come quello di Capaci e di Via D’Amelio e di Salvo Lima, per non parlare dell’attentato che si voleva mettere a punto ai danni di Martelli a Roma.

Come riferito da Antonino Giuffrè ai magistrati e riportato nella Sentenza di Cassazione del «Borsellino quater», a quella riunione «Sono stati fatti i nomi di Falcone, di Borsellino e di Lima. Ma questi nomi non è che siano nati in quella riunione, lo vado a ripetere di nuovo. Questa strategia, cioè la strategia stragistica, la così detta strategia stragistica, non è che… Cioè si va a trovare… Cioè, viene decisa, cioè viene ad essere applicata nel tempo…». 

Perciò sì, in quella riunione si parlò della strategia stragista riferita agli omicidi eccellenti che si stavano progettando, ma faceva parte di un arco temporale molto più largo. Difatti, molti furono i discorsi antecedenti a quella data a riguardo degli omicidi da compiere, ma che infine, per problemi logistici o per problemi determinati dal fatto che qualcuno scoprì la bomba prima che esplodesse, non si attuarono. Come dichiara Giovanni Brusca: «Il dottor Giovanni Falcone era un nemico storico dì «Cosa Nostra» ed era diventato più pericoloso, in quanto era andato a prendersi il posto agli Affari Penali, quindi, da li doveva fare strada, però il rancore c’era da sempre, e quello che aveva istruito il maxiprocesso e, quindi, si doveva eliminare. Cioè si doveva eliminare, cioè metterci mano per portarla a compimento, perché tante volte i tentativi ci sono stati, quello dell’Addaura è andato a vuoto, non era un tentativo fasullo. Questa volta, invece, si ci mise mano per portarlo a buon fine».

Antonino Giuffrè, per ciò che riguarda il tradimento di Lima, sostiene più o meno quanto già detto da Brusca, aggiungendo il periodo elettorale durante il quale Cosa Nostra ha dato appoggio a diversi partiti politici, i quali però non hanno ricambiato il favore: «In modo particolare c’era già una parte politica legata all’onorevole Lima che già da diverso tempo si era defilata, e in modo particolare lui, tant’è vero che poi è stato ucciso; assieme, diciamo, ad altre parti, ad altri personaggi politici, che piano piano hanno fatto un passo indietro, ed in modo particolare mi sembra che ho fatto un certo collegamento fra l’87e quella parte in cui… Di partiti che noi appositamente in data ’87 in queste elezioni avevamo appoggiato, con riferimento al Partito Socialista Italiano». 

Giovanni Brusca afferma che il «piano stragista», oramai ultimato, non si sarebbe compiuto se non successivamente alla sentenza del MaxiProcesso, poiché si correva il rischio che uccidendo un personaggio eccellente si potevano avere delle ripercussioni più gravi sulle sentenze del MaxiProcesso; così dichiara: «Non si uccidono prima, perché non si voleva trovare la scusante che la sentenza del maxi andasse bene, perché’ si era commesso un omicidio o un fatto eclatante, che poteva avere delle ripercussioni».

[Il presente articolo è il secondo di tre riguardanti il tradimento e l’uccisione di Salvo Lima da parte di Cosa Nostra. Sono collegati al progetto Turing, a cura di Tito Borsa e Simone Romanato]