Ancora Buona Scuola: insegnanti «scelti»

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La proposta introdotta nel Ddl La Buona Scuola di far scegliere gli insegnanti ai présidi è una delle cose più assurde mai sentite. In un paese dove il nepotismo, la corruzione, il clientelismo la fanno da padroni, non si sente proprio la necessità di legalizzare la raccomandazione nella scuola pubblica. Finora il meccanismo delle graduatorie ha garantito una relativa imparzialità e un qualche riconoscimento del merito, tutte cose di cui il premier Renzi si riempie la bocca per smentirle ogni volta che avrebbe l’occasione di concretizzarle. Conoscendo i costumi italiani è facile immaginare un ventaglio di «qualità e competenze» utile per venir assunti: far parte della cerchia di parenti/amici del preside, essere di bell’aspetto e disponibili, avere la fama di persone miti e accondiscendenti, avere notoriamente l’abitudine di riferire al dirigente ciò che si dice e succede a scuola. E una volta assunti, chi si avrà mai il coraggio di dire al preside qualcosa che non piacesse o non andasse? Meglio stare zitti, piuttosto che andare incontro a spiacevoli conseguenze. Insomma, una scuola-fabbrica con insegnanti-operai e un preside-padrone: peccato che gli stipendi non li paghi lui.

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Ma volendo anche immaginare che nulla di quanto ipotizzato sopra possa mai accadere, il meccanismo pare comunque davvero kafkiano. Ammettiamo che alcuni insegnanti presenti nell’albo regionale risultino dal curriculum così interessanti da ricevere più proposte di lavoro, sulla base di cosa sceglieranno la scuola a parità di retribuzione? Quasi di sicuro sulla base della comodità. Quali saranno le sedi più appetibili? Quelle dei grossi centri. Chi andrà a insegnare nelle zone disagiate e degradate? Gli insegnanti che sulla carta sono meno bravi, creando così delle grandi disparità tra scuola e scuola, finendo per penalizzare ulteriormente gli istituti già svantaggiati.
Va detto poi che una norma simile introdotta in Lombardia dalla giunta Formigoni è stata bocciata dalla Corte Costituzionale nell’aprile 2013; il buon senso consiglierebbe di non riprovarci, anche perché questa pratica rischia di aprire la strada a moltissimi contenziosi tenendo conto che parliamo di dipendenti pubblici vincitori di concorso.
Quello che il governo pare non aver capito è che il “muro contro muro» con una categoria di lavoratori stanca, umiliata e bistrattata da troppo tempo, malpagata e con la prospettiva di andare in pensione non prima dei 67 anni, non può giovare a nessuno. Non è infatti possibile che sia La Buona Scuola per tutti tranne che per quelli che dovranno farla.