Storia delle bombe di mafia: la discesa in campo di Berlusconi

di Team Turing: Tito Borsa e Simone Romanato
Supervisione di Tito Borsa

Sesta puntata

 

Il 1994, come abbiamo visto, è l’anno della fine della strategia stragista della mafia e si apre con due eventi fondamentali a brevissima distanza l’uno dall’altro. Il 26 gennaio, con un videomessaggio in VHS, Silvio Berlusconi annuncia la sua «discesa in campo» in politica. Il giorno dopo a Milano vengono arrestati in un ristorante i boss stragisti Filippo e Giuseppe Graviano. A questo punto qualcosa cambia radicalmente: niente più bombe, Cosa Nostra torna silente. 

Il messaggio con cui Berlusconi annuncia la nascita di Forza Italia ormai è diventato storia. Ne riprendiamo qualche stralcio, sottolineando il fatto che – nonostante l’Italia fosse reduce da quasi due anni di stragi di mafia – né «mafia» né «Cosa Nostra» vengono citate dal futuro presidente del Consiglio. 

«L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore.  Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare.
(…)
So quel che non voglio e, insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese una alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti. 

La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi. L’autoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti, lascia il Paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio a una nuova Repubblica.
(…)
Noi crediamo nell’individuo, nella famiglia, nell’impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell’efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà, figlia della giustizia e della libertà.
(…)
Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli un nuovo miracolo italiano». 

La domanda che in tanti si sono posti in questi 25 anni è molto semplice: perché Silvio Berlusconi è sceso in politica? «Per amore del suo Paese» (secondo l’ex Cavaliere, 11 maggio 1994) o per «difendere le sue aziende» (secondo Marcello Dell’Utri, 28 dicembre 1994)?

Una terza versione la dà il pentito Antonino Giuffrè al processo Trattativa:

«Siccome Cosa Nostra era alla ricerca (di un nuovo soggetto politico, ndr) e cercava in tutti i modi, o in forma autonoma, o in forma non autonoma, ma legandosi, cioè appoggiandosi, per meglio dire, non legandosi, appoggiandosi, cominciò a venire fuori la discesa in campo di Silvio Berlusconi con la formazione di, poi, successivamente, di Forza Italia nel ’94 con l’elezione e quindi ci sarà tutto un capovolgimento all’interno nostro, non solo a livello nostro diciamo come Provenzano, ma diciamo nel contesto generale di tutta Cosa Nostra, sia per quanto riguarda il contesto Riina, sia per quanto riguarda il contesto Provenzano, dve troveremo, cioè, una figura locale molto importante che, come aveva fatto da sempre, da tramite con il Berlusconi, questa persona è Marcello Dell’Utri, diciamo che era stata indicata come, ancora una volta come una persona che potesse fare da tramite tra la Sicilia, cioè Cosa Nostra e il Berlusconi, e cioè le persone diciamo di potere del nuovo movimento politico… Questo è un discorso che è maturato dentro Cosa Nostra, quindi è un discorso nostro, maturato nell’ambito di Provenzano, di Aglieri, di quelle persone che ancora… dei Graviano, di quelle persone che erano fuori e che avevano un ruolo importante nel gestire i mandamenti, i capi mandamenti di Cosa Nostra». 

Siamo nell’autunno 1993, quando nascono e si sviluppano movimenti indipendentisti come «Sicilia Libera», che si riuniscono nella «Lega Meridionale» e che sono riconducibili a Cosa Nostra.

Secondo il collaboratore di giustizia Tullio Cannella, Provenzano e i Graviano abbandonano il progetto di «Sicilia Libera» per appoggiare la neonata Forza Italia, da poco fondata da Berlusconi e Dell’Utri. Perché proprio Forza Italia? Forse per i rapporti che Dell’Utri aveva con Cosa Nostra, rapporti che hanno portato alla sua condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa?

Il rapporto fra Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Cosa Nostra inizia a venire a galla nell’estate 1995 quando i due, insieme all’imprenditore siciliano Filippo Alberto Rapisarda, vengono indagati dalla Procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio. Poco più di un anno e mezzo dopo per Dell’Utri viene chiesto il rinvio a giudizio per concorso esterno, mentre per Berlusconi e Rapisarda si chiede l’archiviazione, disposta il 19 febbraio 1997. Ha inizio il processo che porterà alla condanna definitiva di Dell’Utri, ma si tratta anche del processo che offrirà la verità giudiziaria, approvata dalla Cassazione il 9 maggio 2014, sui rapporti (senza risvolti penali nei confronti dell’ex Cavaliere) fra Berlusconi e Cosa Nostra. 

L’uomo di Arcore viene iscritto altre 4 volte nel registro degli indagati per questioni riguardanti la mafia, ma il 26 ottobre 1998 la Procura chiede – e ottiene un mese dopo – l’archiviazione di tutte le indagini su Berlusconi. Le motivazioni sono analoghe a quelle con cui i pm chiesero l’archiviazione nel 1996. «Sono emersi vari elementi utilizzabili a sostegno dell’ipotesi di accusa», spiegano i magistrati, ma «le indagini sono particolarmente complesse per la vastità dei fatti da verificare», fatti svoltisi «in un lungo arco di tempo», perciò «gli elementi raccolti entro la scadenza del termine non possono ancora ritenersi, allo stato degli atti, idonei a sostenere utilmente l’accusa in dibattimento, ai fini di una affermazione della responsabilità per il reato associativo (concorso esterno in associazione mafiosa, ndr)». 

Berlusconi, anche se non da imputato, ha molto a che fare con il processo Dell’Utri, visto che viene dimostrato che dal 1973-1974 al 1992 (almeno), l’ex Cavaliere sostiene stabilmente la mafia, avendo versato «per diversi anni somme di denaro nelle casse di Cosa Nostra». 

Nel 1993 i rapporti fra Berlusconi e la mafia, rapporti di cui Dell’Utri è mediatore, debordano anche nella politica con la nascita di Forza Italia: Bernardo Provenzano, allora capo indiscusso di Cosa Nostra, «ottenne garanzie» tali da «votare e far votare» il neonato partito berlusconiano. Le garanzie sono state fornite dallo stesso Dell’Utri, grazie ai suoi rapporti con Bontate, Mangano e Mimmo Teresi. 

Forza Italia, secondo i giudici di primo grado del processo Trattativa, è nata nel 1993 da un’idea di Dell’Utri che è ancora in contatto con Mangano, tanto da incontrarlo quello stesso novembre a Milano, come si era annotato in agenda. Il motivo di quello e di altri incontri viene riassunto dai giudici come la volontà di promettere a Cosa Nostra «precisi vantaggi politici» in cambio di voti. Nessuna verità giudiziaria, per ora. Per quella bisogna aspettare la sentenza definitiva del processo Trattativa.