Studiare costa troppo? Si torna al lavoro manuale

Caro cittadino italiano, ti sei mai preoccupato di riflettere sul valore concreto del diritto allo studio?

È ormai stata consegnata alle pagine dimenticate del cinema italiano una delle scene più memorabili de’ «I compagni», lungometraggio del grande regista Mario Monicelli, con cui nel 1963 si volle realizzare il crudo affresco della vita operaia torinese di fine Ottocento, un’esistenza amara, travolta dal lavoro incessante e pericoloso, dal salario insufficiente a sfamare i figli, dall’ignoranza e dall’incapacità di resistere.
Il personaggio più fortunato è Pietrino, che ogni giorno, anziché recarsi in fabbrica, si dirige a scuola, grazie ai proventi del fratello, che, di qualche anno più grande, con i frutti della sofferenza quotidiana, dona il futuro al più piccolo della famiglia.
Pietrino, però, non ha ancora afferrato pienamente il profondo valore dello studio, non dedica la propria giornata alla seria applicazione e, ingenuamente, sogna la vita di fabbrica.
La reazione del fratello maggiore è brutale: uno schiaffo.
«Tu devi studiare. Piuttosto che farti fare come me, io ti ammazzo
», urla e minaccia il giovane operaio, prima di asciugare il volto del fratellino, ricoperto di lacrime.

Il Pietrino del XXI secolo è ancora più fortunato, ma deve imparare ad osservare il mondo con adeguata cautela.
Il diritto allo studio, in Italia, oggi è un bene di rilievo costituzionale.
Non si limita all’istruzione inferiore, obbligatoria e gratuita.
Comprende anche il diritto all’istruzione e alla formazione universitaria, strumenti indispensabili per l’acceleramento del cosiddetto ascensore sociale, vale a dire il processo che consente e agevola il cambiamento di stato sociale, il percorso dalla fabbrica alla dirigenza.
Il 90,2 % degli studenti paga le tasse, secondo un sistema di tassazione progressivo, ossia proporzionale al reddito, per un ammontare medio annuo che, per la laurea magistrale, si attesta intorno a 1467 euro.
Solo il 9,4% degli studenti ottiene una borsa di studio, per un importo annuale medio di 3248 euro.
Siamo ancora lontani dalla Spagna, dove il 30% degli iscritti riceve una borsa di studio.
Siamo a distanza siderale da Stati come Malta, Svezia, Danimarca e Finlandia, dove nessuno paga tasse universitarie e i 2/3 degli iscritti prendono una borsa di studio.
Se a tali condizioni, si associa anche il fatto che, nei primi 24 anni di carriera professionale, un laureato italiano guadagna solo il 10% in più, rispetto a un italiano che ha completato la scuola dell’obbligo, si comprende bene per quale ragione, per la classe medio-bassa, una laurea rappresenta in primo luogo un costo, non un affare.
Nel decennio che si estende dal 2014 al 2003, l’università pubblica ha, quindi, perso il 20% di immatricolati, una percentuale che contiene ragazzi degli istituti tecnici e professionali, figli di operai e impiegati, prevalentemente residenti al Sud.

Il fanalino di coda europeo, però, non sventola il tricolore italiano.
Il primato negativo, infatti, appartiene  all’Inghilterra.
Qui la totalità degli iscritti paga le tasse, ma nessuno percepisce una borsa di studio.
Per chi non dispone di pronta liquidità, a partire dall’anno accademico 2016/2017, è in vigore lo Student Loan, un prestito concesso ad un tasso di interesse intorno all’1-2%.
Una misura che soffoca i giovani neolaureati, soprattutto se si tiene in considerazione l’ammontare medio della tassazione annua, pari a circa 10mila euro, 10 volte la spesa dello studente medio italiano.
A tal proposito, il Segretario di Stato britannico per l’Istruzione, Damian Hinds, conservatore, ha lanciato un appello ai diciottenni che non possono o non desiderano frequentare le aule universitarie.
Per Hinds è opportuno che questi soggetti, economicamente esclusi, siano incanalati, già prima della scelta universitaria, verso un apprendistato professionalizzante, il più possibile vicino alla sede di residenza.
In altre parole bisogna riattivare il cosiddetto discensore sociale: il percorso dalla dirigenza alla fabbrica.
È un monito che riecheggia anche nelle parole di Mario Draghi, il quale, in occasione del suo primo discorso alle Camere, ha affermato che una parte dei fondi di Next Generation EU saranno impiegati per rafforzare i percorsi di studio a carattere professionalizzante, a partire dagli ITS, gli Istituti Tecnici Superiori.
Le classi più abbienti vincono, le classi più svantaggiate sprofondano.

Questo breve excursus ci dimostra ancora una volta che i diritti non sono scontati, non sono entità sicure, indubbie, assodate, ma posizioni che si conquistano con dura fatica e che, una volta vergate dalla penna del legislatore costituzionale, sono soggetti a momenti di ascesa e a momenti di discesa.
Sta a noi il compito di di soppesarne ogni giorno il valore, di custodirli gelosamente, di svilupparli con entusiasmo.

La lotta non è ancora finita. E mai finirà.