Tartufo italiano a rischio: potrebbe scomparire nel giro di un secolo

Che cos’è il tartufo? Il tartufo è un corpo fruttifero di funghi appartenenti al genere Tuber che compie il proprio intero ciclo vitale sottoterra (ipogeo). Deve obbligatoriamente vivere in simbiosi con piante arboree per produrre il prezioso sporocarpo. Esso non cresce ovunque, ma ha bisogno di particolari condizioni ambientali.

Dove nasce il tartufo in Italia? Le zone maggiormente predisposte alla nascita di tale fungo sono principalmente due: Il Piemonte, con annessa una parte della Lombardia e l’area appenninica del centro Italia (vale a dire in regioni come ad esempio Umbria, Marche e Abruzzo). L’area più pregiata rimane tuttavia nello specifico quella delle Langhe, in Piemonte, dove nasce il famoso tartufo bianco d’Alba.

Perché è minacciato? Secondo gli esperti della University of Stirling che hanno pubblicato il loro studio sulla rivista Science of The Total Environment, Il tartufo è da inserirsi tra le varie specie naturali, come anche piante e animali, a cui dovremmo dire addio a causa del cambiamento climatico. Al di là della generalizzazione, questo magnifico prodotto, di cui l’Italia è praticamente tra i primi paesi al mondo per esportazione, rischia di scomparire a causa di un clima sempre più caldo e secco, delle continue ondate di caldo anomalo e quindi di un rischio di siccità sempre più presente.

Uno degli aspetti che, infatti, più preoccupa i ricercatori è la sorprendete sensibilità del Tuber melanosporum alle temperature calde, alla siccità, quindi alla mancanza di neve nell’inverno, oltre che ad altri fattori che vanno per specifiche aree, come lo sfruttamento anomalo del territorio, gli incendi boschivi e le malattie o infestazioni che possono colpire e causare il cosiddetto «Harvest Collapse».

Quali perdite? A livello economico, il danno potrebbe essere davvero importante, ci riferiamo ad un prodotto che molto spesso costa più di 1.000 euro al chilo. I calcoli portano immediatamente a quantificare una possibile perdita nei prossimi anni di miliardi di euro. Se poi consideriamo l’indotto turistico che esso porta, allora possiamo iniziare a renderci conto di un danno che da economico diventerà ambientale e, non poco tempo dopo, sociale.

Quali soluzioni? C’è chi prova a coltivare tartufi, ma se per il nero ci sono possibilità di una certezza sulla sua effettiva riuscita, per il bianco i risultati non sono per nulla soddisfacenti (e meno male che sia così da un lato). L’argomento insomma risulta difficile da affrontare, probabilmente questo è l’ennesimo campanello d’allarme che dovremmo ascoltare, per mettere immediatamente in moto atti di responsabilità, riguardo ad un turismo più eco compatibile, ad una attenzione alle coltivazioni del territorio e ad una continua cura e ricerca sui terreni, che necessitano di essere monitorati, in maniera da avere un quadro del loro stato di salute continuo.