Il teatro non è un paese per vecchi

È così difficile, al giorno d’oggi, slegare completamente il teatro dall’idea di qualcosa di vecchio e borghese, ammuffito, un passatempo per le sere bigie nel weekend degli over 50 che non trovano una pellicola da vedere al cinema e, così, per puro caso o pura disperazione, si ritrovano seduti di fronte al sipario di un palcoscenico. Consiglierei invece la visione di uno spettacolo teatrale a persone di tutte le età.

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Perché?
Perché andare a teatro fa bene. Basta come risposta?
Perché ci sono messaggi studiati con passione e lacrime.
Perché il teatro con attori giovani in particolare è frutto di un approccio pedagogico diverso dal solito, con tutte le difficoltà del caso, a cui ho avuto l’onore di assistere di persona assistendo e facendo parte di una compagnia teatrale di giovani liceali, che desidera apertura ed evoluzione progressiva in uno scambio umano sensibile, lontano dalle invidie e dall’individualismo. Questa è una sfida registica per coloro che si trovano a lavorare con attori veramente giovani, adolescenti: la sfida di portare qualche accenno di avanguardia a un teatro italiano così ancorato al passato, a vecchie poltrone di potere e contemporaneamente accettare le critiche costruttive che vengono rivolte a coloro che cercano di contrastare il concetto di teatro e vecchio come nome e consequenziale aggettivo.
Perché gli attori si svestono e sono vulnerabili come un artista deve, oggi più che mai. Il rapporto con il teatro può essere diabolico, senza dilungarsi troppo, basti pensare però che lo strumento usato è se stessi, integralmente. Si dice che l’attore menta: il modesto parere della sottoscritta, in quanto giovane attrice, è quello di vedere nel lavoro dell’attore la responsabilità di essere sincero e col cuore aperto, perché il teatro è vita, è una vicenda intima e personale che diviene di dominio pubblico, in cui regole sociali e precetti morali vengono dissacrati senza remore, proprio perché sopra ad un palco tutto è concesso. L’utilità sociale del teatro è uno sguardo sano che si deve cercare di mantenere.
Poi c’è da considerare anche la sfida di far conoscere e amare la rappresentazione classica, di difficile esecuzione, e analizzarne i valori in modo ampio: l’archetipo, la simbologia, la riflessione politica ma anche l’aspetto più semplice e quotidiano, diciamo popolare, che una narrazione possiede. Bisogna slegarsi dal tono sempre severo, romantico ed astratto a cui colleghiamo i classici… è l’essere figli di un teatro decantato e accademico che ce lo fa credere, mentre nei classici c’è la vita di ogni giorno.

Ringrazio la regista ed attrice Mariachiara Pederzini, una grandissima donna che mi ha fornito molti -troppi!-  spunti vari ed eventuali per questo articolo e che si batte quotidianamente per la non-zombificazione di teatro ed attori.