Trump, presidente nemico della scienza

L’immagine qui sopra è di Flavio Kampah Campagna

Inizialmente, gli scienziati a pronunciarsi contro Donald Trump erano 375, in una lettera aperta pubblicata prima delle elezioni che fra i suoi autori annoverava Stephen Hawking e una trentina di premi Nobel. Mentre loro esprimevano la preoccupazione che Trump potesse diventare un «pericolo per il pianeta», altre voci più taglienti e provocatorie, come quella di Michael Lubell, lo definivano «il primo presidente anti-scientifico». Il magnate avrebbe infatti ridicolizzato la Nasa, definendola una «agenzia logistica per attività di orbita bassa», avrebbe sostenuto di aver sentito «cose terribili« a proposito del National Institute of Health e riterrebbe una «bugia dei cinesi» la nozione del riscaldamento globale.
Questo tipo di affermazioni ha alimentato la preoccupazione all’interno della comunità dei ricercatori, come evidenziato dalle risposte al sondaggio lanciato dalla rivista scientifica Nature a seguito dell’arrivo del tycoon alla Casa Bianca. «Tutto questo è terrificante per la scienza, la ricerca, l’educazione»,
 scrive Maria Escudero Escribano, ricercatrice di Stanford. Preoccupati per il futuro dei finanziamenti alla ricerca, i rappresentanti dell’Associazione americana per l’Avanzamento delle Scienze pochi giorni dopo le elezioni hanno fatto richiesta di affiancare un consigliere scientifico al Presidente.
Tuttavia, nessuno poteva immaginare quale sarebbe stato davvero il fronte sul quale la comunità trasversale degli scienziati si sarebbe unita. Sono state le storie dei ricercatori Kaveh Daneshvan, Ali Shourideh, Luca Freschi (italiano con moglie iraniana), che a seguito del «Muslim Ban» sono rimasti bloccati fuori o dentro gli Usa, impossibilitati ad accettare offerte di lavoro oppure a uscire per un convegno per paura di non poter tornare più. Il provvedimento è stato definito dalla Royal Astronomy Society un «ostacolo alla scienza», e contro di esso sono state raccolte nelle università di tutto il mondo più di 12mila firme.
Ma il Trump non si è fermato, imponendo un nuovo «ban»: questa volta non alle persone ma alle informazioni. A seguito di un decreto firmato a favore di telecamere, qualsiasi documento e risultato prodotto dall’Epa, l’agenzia per la protezione dell’ambiente, dovrà essere esaminato dal team del presidente prima di essere pubblicato. Un portavoce dell’Epa fa sapere che la revisione del team potrebbe prevedere la cancellazione di tutte le prove riguardo il surriscaldamento globale e le responsabilità dell’uomo nel processo. La scienza imbavagliata dalla politica risponde creando account Twitter alternativi, aperti da dipendenti delle agenzie controllate, con la promessa di riportarvi eventuali comunicazioni importanti secretate dal presidente. Soprattutto si mobilita la piazza, e scienziati e simpatizzanti decidono di decretare il giorno in cui anche loro scenderanno in strada manifestando contro il presidente, che sarà iconicamente il 22 Aprile, la «Giornata della Terra». L’iniziativa, sullo slogan «Science, not silence» raccoglie già 310mila follower su Twitter.

Lisanna Paladin