USA e Cina parlano di ambiente, gli Stati nord-europei passano ai fatti

Una delle più grandi emergenze dei nostri tempi, tralasciando per un attimo i problemi derivanti dalla pandemia, è quella ambientale. Tutti i leader politici si riempiono la bocca di parole come «green economy», «sviluppo sostenibile» e altri termini che li fanno sembrare più vicini alla causa ambientalista, cercando di arrivare a più persone possibili. Tuttavia, è difficile far fruttare queste dichiarazioni in modo concreto, sia per gli interessi in gioco sia per la crescente domanda di energia. Ne sanno qualcosa il neo Presidente americano Joe Biden, che si è visto rimproverare da Greta Thunberg per l’approvazione di ventiquattro nuove piattaforme di estrazione di petrolio e la Cina che, nonostante pesanti investimenti statali nel settore delle rinnovabili, si trova a costruire anche nuove centrali a carbone per soddisfare la crescente richiesta di energia.

Se c’è qualcuno che si sta muovendo più concretamente, ad oggi, sono gli Stati europei e, più precisamente, del nord Europa, che beneficiano dei venti che spirano dall’oceano: è infatti l’energia eolica che ha attirato i loro investimenti. Boris Johnson, Primo Ministro del Regno Unito, nell’ottobre scorso ha annunciato un piano per portare la produzione di energia eolica da 30 a 40 gigawatt entro il 2030, tramite un investimento di 160 milioni di sterline che creerà, si stima, 2mila posti di lavoro diretti e 60mila per l’indotto. Questo è solo uno dei dieci punti previsti dal governo inglese per raggiungere le famigerate «emissioni zero» entro il 2050.

Un altro paese che sfrutterà pienamente i venti oceanici è la Danimarca. Tramite la costruzione di una vera e propria isola artificiale galleggiante, denominata «energy island», occuperà un’area di 120mila metri quadrati, che corrispondono a circa 180 campi da calcio. L’annuncio è di pochi giorni fa e l’investimento, che occuperà un’area a 80 km dalla terraferma, sarà di 28 miliardi di euro e potenza prodotta sarà di 3 gigawatt, incrementabile in futuro fino a 10 gigawatt. L’obiettivo è quello di arrivare, nel 2030, a una riduzione di anidride carbonica del 70% rispetto al 1990 e, per ora, sono già riusciti a diminuirle del 40%. Non a caso il più grande produttore di turbine eoliche, l’azienda Vestas Wind, è danese. Si stima che questo parco eolico fornirà energia a 3 milioni di famiglie: un numero esorbitante se si pensa che la Danimarca non raggiunge i 6 milioni di abitanti.

Anche in Olanda, lo scorso luglio, hanno approvato un piano per la produzione di energia eolica offshore. La produzione delle 69 turbine sarà di 759 megawatt e occuperà 125 chilometri quadrati, a una distanza di 19 chilometri dalla costa. Il progetto, che sarà seguito da Shell ed Eneco, include anche un parco solare galleggiante, che consentirà di avere una diversificazione di produzione. La notizia è tornata alla ribalta ieri, quando Amazon, che contribuirà alla costruzione, ha annunciato che comprerà circa la metà (380 megawatt) dell’energia prodotta dal parco olandese: questo gli consentirà di utilizzare il 100% di energia rinnovabile entro il 2025, quindi cinque anni prima di quanto previsto in precedenza. Amazon può contare anche su 187 impianti solari di sua proprietà, tra i quali il più grande si trova nel Regno Unito e occupa una superficie di 28 campi da calcio.

Queste azioni aiutano a raggiungere l’obiettivo europeo di aumentare di 25 volte la produzione di energia eolica offshore, entro il 2050. Sia per l’eolico sia per altri tipi di rinnovabili, quindi, la strada è segnata e c’è già chi sta dando l’esempio sul da farsi, sia in ambito pubblico che in ambito privato. Per uscire da questo momento di crisi serve creare opportunità: la collaborazione tra i diversi soggetti dell’economia può aiutare ad arrivare ad uno sviluppo realmente sostenibile.