Un viaggio «vero» alla scoperta del Sudafrica

Era da un po’ che cercavo un modo originale per parlare della mia esperienza in Sudafrica: mi è così difficile perché è stato un viaggio che mi ha colpito nel profondo, sotto tanti aspetti, e avevo sempre paura che le parole non riuscissero a descrivere a pieno tutto quello che ho vissuto (probabilmente sarà sempre così). Poi ho pensato alle persone che, durante il viaggio, abbiamo incontrato, e mi è venuta voglia di parlare di loro e, attraverso di loro, raccontare qualcosa di questo paese.

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Jame, il tassista di Cape Town, era un ragazzo che una sera ci ha portato dal ristorante dove abbiamo cenato all’albergo. A Cape Town, infatti, non si consiglia ai turisti di passeggiare la sera per la città. Jame si è rivelato uno di quei tanti sudafricani che ti accoglie col sorriso, che ha voglia sia di raccontare di sé ma anche di sapere di te. Abbiamo iniziato a parlare e ci ha raccontato di venire dal Zimbabwe e di essere arrivato a Cape Town in cerca di un lavoro, perché nel suo paese la situazione era peggiore di quella sudafricana, e avendo una moglie e un figlio, Jame Junior, è dovuto andare via. Poi ha chiesto di noi, da dove venivamo, per quanto stavamo e che giro avremmo fatto.
Di lui mi ha colpito la cultura che dimostrava, il fatto che fosse sinceramente interessato a conoscere qualcosa di noi, il taglio critico con cui ha parlato di un problema, quello razziale, così profondo e personale, ma più di tutti il modo in cui ha detto «Grazie» quando, uscendo dal taxi gli abbiamo augurato buona fortuna aggiungendo «Saluta Jame Junior»: in fondo, basta così poco.

Il ladro di Durban è uno di quelli che vorrei dimenticare, ed è invece quello di cui mi ricordo meglio il volto. Rappresenta purtroppo una categoria di persone che è ben diffusa in Sudafrica: i ladri. Il Sudafrica in generale non è per niente considerato un paese «sicuro»: la criminalità è molto diffusa, ed è caratterizzata da violenza, le case sembrano delle prigioni, perché le persone per difendersi alzano muri, filo spinato e, per chi può permetterselo, anche allarmi. Tra le cause più comuni c’è l’altissimo tasso di disoccupazione (26%), la povertà e le disuguaglianze sociali. A Durban eravamo fermi al semaforo quando il ladro attraversa la strada e di colpo si getta con le mani dentro il finestrino della macchina di una ragazza: si «strattonano» per un po’, perché lei cerca di difendersi, e alla fine lui riesce a strapparle la collanina dal collo e andare via. Lei rimane incredula per un po’ e poi inizia a suonare il clacson, il semaforo diventa verde e nessuno si ferma, tutte le macchine in coda dietro di lei partono superandola. Quando si è turisti, o meglio, viaggiatori, si tende a scorgere solamente i lati positivi del paese che si sta visitando, e così stava accadendo a me in Sudafrica: mentre viaggiavamo mi piaceva tutto, ogni giorno scoprivo nuove cose, nuovi paesaggi, la natura aveva modo ogni giorno di meravigliarmi e ogni cosa mi trasmetteva tantissimo. Vedere questa scena mi ha forse consentito di comprendere il Sudafrica un po’ più realmente, e non so se purtroppo o per fortuna. Per quanto sia un paese meraviglioso, che consiglierei a tutti di visitare una volta nella vita, è anche vero che è un paese che a livello sociale presenta tante, e profonde, difficoltà. È come se fosse costantemente diviso in due: i ricchi, e i poveri, i quartieri residenziali e le baraccopoli, i business man e i mendicanti e, quasi sempre in quest’ordine, i bianchi e i neri.

Il venditore di stoffe di Hazyview era un signore molto vecchio che, sul ciglio della strada, vendeva delle meravigliose stoffe coloratissime, che teneva appese con delle mollette ad un filo per la biancheria. La strada su cui l’abbiamo trovato portava all’entrata del Kruger National Park, a nord est del Sudafrica, dove è possibile fare il safari. Tutti sono alla ricerca dei «big five»: il leone, l’elefante, il rinoceronte, l’ippopotamo e il buffalo.
Il venditore stava seduto su una cassa rovesciata, guardava le macchine che passavano, con un’aria abbastanza sconsolata, ma non triste. L’attimo che per sempre mi ricorderò, è il momento in cui ci siamo fermati sul ciglio della strada, poco più avanti del suo «negozio all’aperto»: mi sono girata e il sorriso che ho visto nel volto del venditore di stoffe ha avuto in quel momento un valore mille volte più alto di qualsiasi parola. Non è che abbia detto chissà cosa, ma era così profondamente felice che qualcuno si fosse fermato da lui, così fiero di mostrarci tutte le fantasie di teli colorati che possedeva, non importa se dopo avrebbe dovuto riporli tutti e avrebbe probabilmente fatto tardi a casa. Ci mostrava ogni fantasia, ci indicava tutti i colori, ci faceva toccare la stoffa per assicurarci che fosse di buona qualità. Quando abbiamo comprato due stoffe e una giraffa di legno da portarci a casa, pur avendo speso dei soldi, ci sentivamo più ricchi di prima: e non solo perché andavamo a casa con degli oggetti originali e pieni di valore, ma soprattutto perché avevamo visto quel meraviglioso sorriso del venditore di stoffe.

Questo per me significa viaggiare in senso pieno, e giusto. È girare per le città, perdersi nella natura, ma anche conoscere le persone, sentirsi diversi per poi riscoprirsi tutti esseri umani. È vero che esistono quei viaggi in cui ci si immerge solo nella natura, lontano da tutto e da tutti, e rispetto questo tipo di scelta, probabilmente nasce anche da uno specifico bisogno. Ma non fa per me, perché mi sembrerebbe di perdermi una fetta importante del paese che sto visitando: le persone che lo compongono, nel bene e nel male, fanno il paese stesso, e in Sudafrica abbiamo avuto la possibilità di conoscerne davvero tante. Non potrei essere tornata a casa più ricca di così.