Vicenza: l’arte non può portare all’integrazione

Veneto, anno 2017. Il comune di Bassano del Grappa (Vicenza) ha vinto due bandi europei per un totale di 231mila euro per finanziare due progetti. Ne nasce un putiferio, un cataclisma che agita le poltrone dei piani alti nel bassanese. Per quale motivo?
Il seme della discordia dovrebbe risiedere nell’obiettivo stesso dei due progetti. Si mira a integrare migranti e rifugiati attraverso iniziative di danza e movimento, ad articolare nuove forme di narrazione della propria identità di genere. Persone socialmente discriminate ed emarginate prenderanno parte a classi di ballo e momenti performativi con i quali cercare un momento di inclusione e solidarietà con una comunità impreparata al «diverso», che spesso emargina e isola.
La domanda resta ancora «Perché ne è nata una polemica?», per saperne di più non ci resta che ascoltare i pareri di esponenti di Lega e centrodestra che sono insorti.
Nicola Finco, capogruppo in regione di Lega Nord, dichiara: «Questa amministrazione, invece di usare i soldi dell’Europa per aiutare i giovani bassanesi senza lavoro o gli anziani in difficoltà, li usa per far ballare i migranti». Ancora una voce da un’esponente del Carroccio, Tamara Bizzotto (in foto), che ci dice: «Ci sono miriadi di bandi aperti nella comunità europea e noi andiamo a reperire i fondi per la danza e per l’inclusione dei rifugiati e dei migranti», e continua: «Se vogliamo fare una battaglia contro le discriminazioni, promuovere la parità, credo ci siano altre formule. Cominciamo dalle scuole, magari, facciamo dei progetti che coinvolgano i bambini, l’educazione. Ma un progetto di danza, in questo modo, non ne capisco il senso».
Passando poi all’ambiente comunale di Bassano, il consigliere comunale per l’impiego Stefano Monegato dichiara che: «Andrebbero usati in maniera molto più accorta e molto più utile anche alla vera integrazione».
Di fronte a dichiarazioni come queste, sorgono spontanee alcune domande. Come si possono investire altrove questi 231mila euro, se solo non fosse che il denaro è vincolato all’utilizzo per il progetto? In che misura diamo la priorità a un problema piuttosto che a un altro, ritenendo questa o quella persona più o meno bisognosa di un’altra? Che cos’è la «vera» integrazione, se non quella che usa il linguaggio della danza, dell’arte, capace di abbattere gli ostacoli linguistici, culturali e sociali, diventando veicolo unico di una storia e un destino comune, quello umano? Questo investire in progetti scolastici ed educativi, in quale forma dovrebbero avvenire? Con una lezione frontale in cui spiego a un pargolo di 6 anni qualcosa che, a parole, fa fatica a capire, perché gli sto parlando di una realtà a lui così distante che nemmeno si sente toccato, se non vede e non sperimenta in prima persona?
Parole simili nascono dalla becera illusione che l’arte sia uno strumento non politico adatto ai musei e alle teche, che non può né deve risolvere alcun problema, se non essere fine a se stesso. L’arte è uno strumento potentissimo, una vera e propria bomba a mano di cui spesso si ignorano le capacità. Ma se, nel Ventunesimo secolo, tutto ciò che riusciamo a immaginare con la notizia di un progetto simile è una ridicola macchietta commercializzata e storpiata in «Ballando con il profugo», come possiamo realizzare dei miglioramenti significativi?