Vittorio Arrigoni: sognatore e vincitore

«Io che non credo alla guerra, non voglio essere seppellito sotto nessuna bandiera. Semmai vorrei essere ricordato per i miei sogni. Dovessi un giorno morire – fra cent’anni – vorrei che sulla mia lapide fosse scritto quello che diceva Nelson Mandela: “Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare”».

Questo era il desiderio di Vittorio Arrigoni, che sognatore lo era per davvero. Forse troppo, forse troppo poco compreso, di sicuro punito per quel tipo di ideali che poche persone nella storia riescono a portare avanti in modo così deciso, coraggioso e umano.

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Nato a Besana in Brianza il 4 febbraio 1975 Arrigoni era un attivista, giornalista e scrittore italiano, che dall’Italia è partito per il mondo cercando di portare ovunque tratti della sua umanità. Inizia a dedicarsi fin da giovane all’aiuto umanitario, inizialmente nell’est Europa, ma anche in Nepal e in alcuni stati africani come il Ghana e la Tanzania. Nel 2002 viene mandato per la prima volta a Gerusalemme Est, dove inizia ad interessarsi e a fare un po’ sua la causa palestinese: sono i primi anni di quella che sarà una vita dedicata al popolo palestinese, alla lotta contro le azioni dello stato di Israele, la politica di Hamas nella striscia di Gaza e il regime di al-Fath in Cisgiordania.
Vittorio è principalmente conosciuto per la sua attività di blogger e giornalista, attraverso la quale si impegnava per far conoscere al mondo quello che accadeva nella striscia di Gaza, per sensibilizzare l’opinione pubblica e per lanciare delle grida di aiuto per tutte le persone che una voce non avevano. Ma il suo lavoro, anzi, la sua vita, andava oltre all’attività di blogger: cominciando a vivere a Gaza, diventò fratello della popolazione palestinese, condividendone la cultura, la vita e inevitabilmente anche le tragedie e il loro destino.
La sua motivazione non nasce e non si sviluppa come un lavoro, ma più come una vocazione, più come un dovere morale in quanto essere umano, più come una causa da abbracciare e fare sua, piuttosto che descriverla da spettatore esterno.
Per l’Italia era reporter per il Manifesto, per PeaceReporter, per il programma Caterpillar di Radio2, per RadioPopolare, mentre nell’ambito internazionale era conosciuto come commentatore di molte testate. Nel 2009 pubblica il libro Gaza Restiamo Umani, una raccolta di propri reportage dalla striscia di Gaza, con i ricavi del quale aiuta «i bambini di Gaza sopravvissuti all’orrenda strage, affinché le loro ferite possano rimarginarsi presto».

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Tramite la sua pagina Facebook promuove il libro chiedendo di regalarlo ad amici e colleghi, di donarlo a «agguerrite librerie interessate ad un progetto di verità e solidarietà», di organizzare incontri, dibattiti, perché la vera opposizione pacifica si fa con la conoscenza, si fa con la sensibilizzazione e i dibattiti, perché «non siamo pochi, siamo tanti. E possiamo davvero contare, credetemi». Comincia ad essere ancora più conosciuto quando, durante l’operazione Piombo Fuso, rimane l’unico cronista sul campo, quando sotto le bombe e nel mezzo della guerra continua a scrivere reportage.
Dopo numerose minacce di morte e avvertimenti sia di militari sia di gruppi politici, il 14 Aprile 2011 viene rapito da un gruppo terrorista che accusa l’Italia di essere uno stato «infedele», accusa Vittorio di «diffondere la corruzione» e chiede la liberazione di uno dei loro leader. Il giorno dopo, viene ritrovato il corpo senza vita di Vittorio Arrigoni in un’abitazione di Gaza.
Più che parlare di Vittorio o della sua vita in modo analitico, è molto più significativo a mio parere far parlare lui, che le parole non gli mancavano e neanche l’abilità di arrivare subito nel profonde delle cose, e le persone che lo conoscevano. Perché è nel ricordo degli altri e nelle impronte che lasciamo una volta partiti, che si comprende la grandezza di quello che siamo stati durante la vita. Vittorio vive ancora, grazie alle parole di tutti quelli che lo hanno conosciuto e al ricordo che ha lasciato dietro di sé.
Da un articolo del Manifesto, pubblicato da Michele Giorgo il 16 Aprile scorso ricaviamo le testimonianze di due vicinissimi a Vittorio.
Samah, una attivista per i diritti umani che aveva conosciuto Vittorio al confine con Israele, racconta: «all’inizio ero stata molto cauta nei confronti di questa presenza, poi, ad un certo punto, i militari hanno cominciato a sparare e lui ha fatto un salto in avanti per proteggermi. In quel momento ho compreso che quello straniero, Vittorio, teneva più alla vita dei palestinesi che alla sua».
Khalil Shahin, vicedirettore del Centro Palestinese dei Diritti umani e uno degli amici più stretti di Vittorio, dice: «Di lui apprezzavo la semplicità, il desiderio di conoscere le persone comuni, di ascoltare le loro storie, la loro vita. Era diventato parte integrante di alcune famiglie contadine qui a Gaza», racconta. «A me manca anche l’attivista, il Vittorio politico, scrittore, blogger. Era impareggiabile la sua capacità di cogliere gli aspetti più veri dell’esistenza dei civili sotto attacco. Sapeva scrivere».
Ma le parole più profonde provengono sicuramente da Vittorio stesso: sono questi i racconti attraverso i quali continua a vivere e si fa conoscere per l’essere umano di valore che era. Nel libro Gaza. Restiamo umani racconta come dal suo appartamento di Gaza dal quale si vedeva il mare, poteva trarre sollievo dall’orizzonte, cosi come orrore gaza_vittorio_arrigoni_03quando l’orizzonte veniva spezzato dalle bombe. Racconta la sua incapacità, raggiunto un certo limite, di scrivere delle morti quando i morti cadevano attorno, in un vortice di violenza e ingiustizia; dell’incubo nel quale aveva scelto di vivere per farsi testimone delle persone che non venivano ascoltate; delle “fabbriche di angeli”, gli ospedali palestinesi colpiti dall’esercito israeliano; la determinazione nel rimanere in quella terra contro ogni logica quando scriveva: «Non siamo fuggiti come ci hanno consigliato i nostri consolati, perché siamo ben consci che il nostro apporto sulle ambulanze, come scudi umani e nel dare prima assistenza ai soccorsi, potrebbe rivelarsi determinante per salvare vite». E ancora, la voce che denunciava il silenzio complice dell’opinione pubblica internazionale e il grido sempre presente di «restiamo umani».
La causa che Vittorio Arrigoni aveva abbracciato era quella Palestinese, ma sono sicura che non si offenderebbe se prendessimo d’esempio la sua vita, le sue parole, le sue opinioni e il suo coraggio per un’altra guerra, o per la stessa di cui lui parlava, nello scenario di oggi, che al contrario di quanto auspicava, non è cambiato. Il fatto è che un altro Vittorio, con le sue parole, opinioni e coraggio, è difficile trovarlo.
Vik vive ancora a Gaza, e nei ricordi di moltissimi: lo dimostrano le numerose iniziative a 5 anni dalla sua morte. A Gaza pescatori e amici di Vittorio cantano «Ounadikum» la sua canzone preferita, mentre tengono in mano striscioni con la scritta «Gaza remind you. You are in our minds and our hearts. Le giuste idee non moriranno mai.»