Un’analisi del linguaggio narrativo della politica

Volgare eloquenza
Giuseppe Antonelli
Laterza – 2017 – 14 euro

«Nel momento stesso in cui si mitizza il popolo sovrano, lo si tratta come un popolo bue. Qualcuno a cui rivolgersi con frasi ed espressioni terra terra, cercando di risvegliarne bisogni e istinti primari. Da questa idea di popolo discende un’eloquenza volgare, semplicistica, aggressiva». La politica negli ultimi decenni si è trasformata: i rappresentanti eletti dal popolo si mimetizzano con il popolo stesso, e parlano come lui. L’arte dello storytelling, caratteristica della propaganda renziana ma non solo, ha trasformato i cittadini in soggetto passivo: la politica diventa affabulazione, racconto di una realtà distorta e differente a cui è facile credere, mentre sarebbe molto più difficile controllare la veridicità dei fatti che cita.
Volgare eloquenza, dedicato alla memoria di Tullio De Mauro, è proprio il linguaggio utilizzato dalla politica odierna. Giuseppe Antonelli, docente di Linguistica italiana all’Università di Cassino e collaboratore di giornali, tv e radio, esamina questo mutamento della comunicazione politica, che ha portato il dibattito a diventare scontro fra schieramenti non pensanti. Dal «Votami perché parlo meglio (e dunque ne so di più) di te» si è passati al «Votami perché parlo (male) come te». La politica applica un mimetismo totale per abbassarsi al livello del popolo (bue). «De te fabula narratur: questa storia parla anche di te, sembra dirci – con l’Orazio delle Satire – ogni politico dei nostri tempi. L’importante è solo trovare le parole giuste. Le parole che risuonino in ognuno di noi. Le parole che ci facciano proiettare in quel racconto la nostra esperienza». I politici non sono più quindi individui che, in quanto rappresentanti «dentro» la res publica, ne sanno (e ne devono sapere) più del privato cittadino: i nostri rappresentanti sono come noi e questo è folle se paragonato al significato e all’utilità primaria della democrazia rappresentativa contrapposta a quella diretta. La narrazione, spiega Antonelli, «è diventata in questi anni l’elemento centrale della lingua dei politici. Le parole mirano a colpire l’istinto degli elettori, i loro sentimenti». E questo provoca la soppressione dei ragionamenti e delle argomentazioni, che vengono «lasciati da parte, per puntare dritto alle emozioni». D’altronde, la politica sui social non fa altro che questo.