Volume 3: un piccolo gioiello opaco

In occasione dei 17 anni dalla morte di Fabrizio De André (11 gennaio), considerato dai più il più grande cantautore italiano di tutti i tempi, ogni settimana analizzeremo – senza pretesa di esaustività – i 13 album in studio dell’artista genovese: da Volume I ad Anime Salve, dal 1967 al 1996.

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Uscito a Natale del 1968, Volume 3 è una piccola parentesi nella produzione di Fabrizio De André: a differenza di Tutti morimmo a stento (pubblicato qualche mese prima) e della Buona novella (che vedrà la luce un paio di anni dopo), non si tratta di un concept album. All’interno possiamo trovare le nuove versioni di Marinella, Amore che vieni amore che vai e della Guerra di Piero, già pubblicate anni prima dalla Karim, insieme a pezzi che diventeranno dei classici del repertorio dell’artista genovese: Il gorilla (traduzione di un pezzo di Georges Brassens), il Testamento e La ballata del Miché (testo scritto con Clelia Petracchi). A questi brani si aggiungono dei capolavori «minori», o almeno considerati tali nell’immaginario collettivo: la trasposizione in musica del sonetto di Cecco Angiolieri S’i’ fosse foco, la medievale il Re fa rullare i tamburi e la malinconica chanson Nell’acqua della chiara fontana. Dieci brani che sembrano fatti apposta per vendere moltissimo: i risultati non delusero le aspettative, sebbene Volume 3 non raggiunse mai l’Lp precedente. Complice del successo era l’alone di mistero che circondava De André, che non teneva concerti (il primo è del 1975): «Per il solo fatto che De André non si presentasse in televisione, che nessuno lo conoscesse e che in fondo non si sapesse neanche dove viveva, si può dire che è stato il primo mito italiano; quando ha incominciato a fare concerti il mito è un po’ sceso, è diventato una persona, però è stato uno dei grandi misteri, inavvicinabili», racconta Antonello Venditti in Vita di Fabrizio De André di Luigi Viva (Feltrinelli), seppur con una piccola imprecisione: De André in tv c’era andato per presentare Tutti morimmo a stento. Volume 3, pur contenendo degli autentici capolavori, non sembra all’altezza né dell’album che lo precede né di quello che lo segue: può essere catalogato come un piccolo inciampo di un giovane cantautore ventottenne che, a proposito del successo e dei concerti, affermava: «Io appartengo soprattutto a me stesso e non mi va che mi si facciano i fumetti intorno, non lo sopporto».