Abusi e umiliazioni nei manicomi dei bambini

Il manicomio dei bambini
Alberto Gaino
Edizioni Gruppo Abele – 2017 – 15 euro

«Avevo tre anni quando un’assistente sociale mi portò a Villa Azzurra che di quel colore non aveva proprio nulla. Ci finii perché quella buona donna di mia mamma mi aveva avuto da un uomo che della paternità se ne infischiò allegramente, non l’ho mai incontrato. Lei era giovane e sola». Così comincia una delle testimonianze raccolte da Alberto Gaino, fino al 2013 giornalista per La Stampa, che in questo volume cerca di ricostruire la storia di Villa Azzurra, ospedale psichiatrico a Collegno (Torino), per anni teatro di abusi sui bambini. «C’era l’infermiere che si prendeva e si portava, dove solo lui sapeva, le bambine più sviluppate», tanto c’era la suora caporeparto a coprirlo, e poi la sala chirurgica: «Mi ricordo di bambini e bambine che hanno portato là e che non sono tornati da noi. I più grandi dicevano che ci facevano esperimenti in quella sala».
Nel 1974 venne processato il professor Giorgio Coda, vicedirettore di Villa Azzurra, referente del Provveditorato agli Studi per le classi differenziali, giudice onorario del Tribunale per i minorenni e poi responsabile di un padiglione per adulti, dove continuava a pratica abitualmente l’elettroshock per normalizzare i ricoverati. Una storia di abusi protetti da sinistra a destra. Non stiamo parlando di tempi lontanissimi, bensì i mezzo secolo fa, nell’Italia del boom economico.
Il manicomio dei bambini è una terribile inchiesta giornalistica su una storia finora taciuta, venuta fuori grazie al lavoro dell’Espresso qualche decennio fa ma poi ricaduta nell’oblio. Un grande lavoro di Alberto Gaino che si immerge, con innegabile coraggio, in queste vicende di esseri umani reificati sull’altare della (troppo spesso presunta) malattia mentale. «Il primo ricovero di Libero in ospedale psichiatrico, all’inizio del 1963, dura 42 giorni, al termine dei quali – vivaddio – un medico prende atto che un bambino di tre anni non deve rimanere là». Ma Libero «non era “pericoloso”, divenne “pericoloso” in trenta giorni. Bastarono una parola non qualsiasi e una firma di un medico qualsiasi per rinchiudere là dentro un bambino di tre anni mezzo per altri sei anni di fila».
Gaino restituisce dignità alle vite calpestate dal professor Coda e dagli altri aguzzini di Villa Azzurra. Una dignità dovuta che però attendevano da mezzo secolo.