A cosa portano Brexit e Ttip? Parla Stefano Feltri

Stefano Feltri, modenese classe 1984, vicedirettore de Il Fatto Quotidiano, si occupa abitualmente di economia, disciplina in cui si è laureato alla Bocconi a Milano. Gli abbiamo chiesto di spiegarci due questioni che stanno dividendo l’Italia: l’uscita del Regno Unito dall’Ue e il Ttip, il trattato per la «Transatlantic Trade and Investment Partnership».

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Il governo del Regno Unito deciderà di rispettare la decisione dei cittadini? Secondo Gideon Rachman, il risultato del referendum servirà solo a dare un segnale, ma non si concluderà con la Brexit, bensì con delle concessioni al paese da parte dell’Ue.
Ci sono due aspetti: innanzitutto, il referendum non è vincolante, quindi il governo e il parlamento potrebbero ignorarlo, dal punto di vista legale, ma lo ritengo abbastanza improbabile; c’è anche una questione delicata sulla costituzionalità del processo: se il governo possa dare seguito al referendum senza coinvolgere il parlamento. L’altro aspetto è che ci sono molte situazioni in cui la Brexit non sarà molto diversa dalla permanenza nell’Unione Europea: a seconda di come andrà il negoziato, il Regno Unito potrà essere molto diverso da oggi oppure molto simile. Se riesce a entrare nell’area economica europea del mercato unico avrà accesso al mercato europeo, l’unica differenza sarà che non potrà più contribuire a scriverne le regole ma solo subirle, non essendo più parte del processo decisionale.

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Quali saranno le conseguenze sul piano economico?
Dipende dal negoziato con le istituzioni, non c’è niente di scontato. I punti sensibili sono due o tre: il primo è valutario: la sterlina si è molto svalutata, ma questo non è per niente un dramma, perché toglie un po’ di potere d’acquisto agli inglesi ma rende più competitive le loro esportazioni. Gli aspetti di medio periodo sono molto più complessi, e dipendono da che accesso avrà il paese al mercato unico europeo. Se le aziende inglesi perdono il cosiddetto passaporto europeo, dovranno mettersi d’accordo e stabilire i rapporti con ognuno dei 27 paesi sulla base della legislazione del paese con cui vogliono fare scambi. Sul lungo periodo c’è tutta una serie di incognite: per esempio, se la Gran Bretagna riuscirà ancora ad attrarre talenti come ha fatto finora dal resto d’Europa, a livello individuale. L’altra questione è che politica commerciale avrà, che tariffe doganali applicherà. Ma queste sono incognite; quel che sappiamo invece è che negli ultimi mesi molte imprese e banche hanno congelato le loro decisioni sul Regno Unito finché non sarà chiaro l’esito finale. Meno investimenti vuol dire meno crescita, meno occupazione, tanto che già quest’anno probabilmente il Regno Unito andrà il recessione, passando da una crescita superiore al 2% a un segno meno.

Ci sarà un effetto domino?
Sicuramente, aver fatto passare l’idea che l’Ue ha le porte girevoli non fa bene alla sua credibilità e rafforza i movimenti e partiti che credono che andarsene sia possibile. Avevamo già visto il referendum in Olanda, anche quello non vincolante, in cui avevano bocciato l’accordo per l’associazione tra Ue e Ucraina, Marine Le Pen sicuramente imposterà gran parte della sua campagna elettorale per le presidenziali del 2017 in Francia su questo tema; in Italia anche il M5S, che da diverso tempo aveva abbandonato i temi europei, è tornato a occuparsene richiedendo un referendum sull’euro, che non è né costituzionale né legale in questo momento. Quindi un po’ di effetto domino c’è sicuramente, molto dipenderà da come andrà il negoziato e da come saranno le conseguenze sul Regno Unito. Secondo me, già il fatto che i politici che hanno tenuto la Brexit sono stati fatti fuori nel giro di una settimana spingerà molti leader populisti a una certa cautela.

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Che cos’è il Ttip?
Il Ttip è un trattato commerciale che l’Ue sta discutendo dal 2013 con gli Stati Uniti e ha lo scopo ufficiale di aumentare lo scambio da una parte all’altra dell’oceano, riducendo soprattutto quelle chiamate «barriere non tariffarie»: sono quelle che riguardano per esempio i regolamenti, gli standard sanitari o tecnici, come si fanno per esempio i crash test delle auto, come si misurano i parametri della salute sulle cozze da esportare, ecc. Sono molto più difficili da stimare nelle conseguenze economiche, ma possono essere barriere più efficaci di quelle che riguardano solo il prezzo. L’idea è: uniformiamo gli standard, facciamo in modo per esempio che una certa medicina per entrare nel mercato debba fare i test una volta sola: se l’autorità americana applica gli stessi test di quella europea non c’è ragione di fare i test due volte.
La ragione ufficiosa di questo trattato è sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti hanno interesse a contrastare la Cina, che sta espandendo sempre di più la sua influenza.

Perché alcuni sono contrari?
Innanzitutto perché se ne sa poco, perché la gente preferisce pensare che sia tutto segreto, un complotto. È anche vero che sono stati fatti degli errori di comunicazione, perché per il primo anno e mezzo dal lato europeo è stato tenuto segreto il mandato negoziale, non per colpa della Commissione ma per colpa degli stati membri. La ragione è che meno informazioni si danno, più è facile negoziare, altrimenti cominciano a protestare tutti. Dal lato americano è quasi tutto segreto, dal lato europeo ormai si sa tutto. L’unica cosa che è coperta è il testo coordinato, il testo finale del trattato, con il compromesso oppure, nel caso dei temi in cui non è stato raggiunto, la proposta europea e quella americana. Questo può essere visto solo da alcuni parlamentari, ma è un documento molto tecnico, che non è comunque indicativo del risultato finale.
Questa discussione è arrivata in un momento in cui la globalizzazione non è al massimo della sua popolarità, perché molti, nella combinazione tra mutamenti dell’economia globale e recessione degli anni dopo la crisi, sono rimasti indietro e qualunque cambiamento spaventa. Questi timori non sono completamente folli, ma sono da tenere in considerazione mentre si segue il negoziato, che come tutti i negoziati è permeabile a pressioni lobbystiche da una parte e dall’altra. Non è detto che questo trattato per noi debba essere un disastro, come non è detto che possa essere un trionfo. Per l’Italia il problema più grosso è quello delle indicazioni geografiche, di garantire una protezione ai marchi collettivi come il Parmigiano Reggiano.
La Commissione europea ha presentato ai governi il risultato del Ceta, l’accordo col Canada, e anche se è solo di sua competenza perché riguarda solo la materia commerciale e quindi dovrebbe essere discusso e votato solo a livello europeo, ha deciso di coinvolgere anche i governi nazionali. Questo è illegale, comunque è un segnale politico che la Commissione ha perso la guerra di potere, non è riuscita a tenersi una sua competenza. Questo fa pensare che anche il Ttip seguirà lo stesso tragitto, quindi se mai dovesse esserci un accordo tra Europa e Stati Uniti entro la fine dell’anno, nei prossimi anni tutti i parlamenti potranno votarlo e basta che uno voti contro e tutto si arena.