«The Floating Piers»: se l’arte si fa esperienza

Mercoledì 29 giugno ho avuto il privilegio di camminare sull’acqua. Detta così potrebbe sembrare un’affermazione che rasenta il blasfemo, ma mi riferisco al genio umano e al suo più grande prodotto: l’arte. L’opera in questione è la celeberrima passerella intitolata The Floating Piers (lett. «I Moli Galleggianti») che l’artista ottantunenne bulgaro Christo Vladimirov Yavachev ha inaugurato lo scorso 18 giugno sul Lago d’Iseo (Brescia). La passerella, rimasta visitabile gratuitamente per soli 15 giorni, è stata concepita dall’artista e dalla moglie Jeanne-Claude, scomparsa nel 2009, come una sorta di ponte lungo 5,5 km (2,5 su terra e 3 galleggianti) che collegasse il piccolo paesino di Sulzano con Monte Isola e l’isoletta di San Paolo, entrambe raggiungibili esclusivamente tramite imbarcazioni. In questi giorni si sta procedendo alla totale rimozione dell’opera, costruita nel rispetto dell’ambiente con materiali interamente riutilizzabili: 200mila cubi di polietilene espanso, fissati al fondo da 140 ancore di 5 tonnellate ciascuna, il tutto foderato con 90.000 metri quadri di tessuto tecnico giallo dalia.

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La realizzazione di The Floating Piers è stata possibile grazie all’ingente impegno economico dello stesso Christo, che ha sborsato di tasca sua una somma che si aggira sui 18 milioni di euro a copertura delle spese per i servizi al pubblico, per l’assistenza igienico-sanitaria dell’area, per la raccolta straordinaria di rifiuti e per un canone di concessione per «l’occupazione» dell’acqua del lago d’Iseo, oltre agli stipendi di almeno 750 prestatori di lavoro. Stando ad un’analisi condotta dal Sole 24 Ore, quest’opera ha costituito un vero e proprio investimento per l’artista: pare, infatti, che il ricavato della vendita di «bozzetti dell’opera», tipico metodo con cui Christo si autofinanzia, ammonti a circa 60 milioni di euro.
Una cifra da capogiro, certo, ma prevedibile se si guarda allo strabiliante – e forse un po’ inaspettato – successo che l’installazione ha riscosso tra il pubblico: i visitatori sono stati più di 1,3 milioni, con una media di 70mila al giorno. Inoltre, la passerella di Christo ha goduto di un boom sui social: secondo L’Eco di Bergamo, sono stati oltre 100 mila i contenuti postati da tutto il mondo riguardanti l’installazione. Un risultato grandioso che ha fatto breccia nel cuore di appassionati e non.
Naturalmente le critiche da parte degli storici dell’arte italiani non si sono fatte attendere: tra esse, le due posizioni più controverse sono quelle di Vittorio Sgarbi, che ha definito The Floating Piers «un’opera consumistica», e di Philippe Daverio, che ha addirittura affibbiato alla passerella il termine «baracconata». Effettivamente, la «land art», corrente artistica a cui appartiene l’opera, è un’arte «popolare» ma è proprio questo il suo punto di forza: essa è apprezzabile e comprensibile da chiunque indipendentemente dal livello culturale, poiché coniuga l’opera dell’uomo con la natura e il paesaggio, alterandone la percezione e – al contempo – valorizzandone le caratteristiche. Christo stesso, durante un intervento all’assemblea Icom (International Council of Museums) a Milano, ha affermato: «L’opera d’arte non è The Floating Piers, ma è il viaggio: chi ci è andato se lo porterà nella mente per tutta la vita. Questa installazione è di tutti quelli che ci sono passati sopra».
Non mi resta che concordare con questo grande artista: mi porterò nel cuore quel mercoledì, nonostante le 6 interminabili ore di coda per accedere alla passerella, perché ancora una volta ho potuto toccare con mano l’importanza dell’arte. Su quei blocchi galleggianti ho visto camminare anziani, bambini, disabili, donne col velo, persone di colore, tutti insieme, senza discriminazioni né selezioni. Il successo di The Floating Piers dimostra come l’arte – in generale, non solo la «land art» – sia sinonimo di uguaglianza e di unione, e sia in grado di amalgamare in un unico abbraccio tutte le – bellissime – diversità del mondo.