Brexit: il senso di un’Europa svuotata

Con la Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Ue, si configura la fine del sogno di un’Europa che probabilmente da tanto tempo si è trasformato in altro. Con l’adozione del Trattato di Lisbona (1 dicembre 2009) formalmente la Comunità europea non esiste più, avendo passato il testimone alla più nominalmente asettica Unione.

farage_2572535b

Chi scrive è un convinto europeista, perché da soli ogni cosa è più difficile e perché solo dare diritti e doveri a un gruppo di entità — Stati o cittadini cambia poco — può portare a una convivenza pacifica, ma di un’Europa che non esiste più. Una Comunità è «come una famiglia», per citare Romano Prodi ieri intervistato dal Tg2, ed è difficile pensare come tale quell’Unione che ha messo in ginocchio la Grecia l’anno scorso.
Il referendum inglese è una vittoria della democrazia indipendentemente dal suo esito: i cittadini britannici hanno potuto esprimersi su una questione — la permanenza nell’Unione Europea — che li riguarda e non da così lontano come sembra. Ed è comprensibile la scelta di coloro che hanno votato per il «leave», per lasciare un organismo sempre più di facciata, un’entità che si è ormai svuotata di tutti i contenuti che aveva in origine. Al «leave» dei vecchi si è però contrapposto il «remain» dei giovani: i tre quarti degli under 24 hanno votato per rimanere nell’Ue, vogliamo sperare perché sognano un’Unione diversa, al contempo trampolino dei più forti e stampella dei più deboli, che permette a ogni cittadino di muoversi senza limitazioni nel territorio europeo, un’Unione simbolo di libertà.
A oggi un effetto domino tale da far collassare l’Ue è pura fantascienza: il caso britannico è un unicum all’interno dell’Unione. Da sempre periferico, il Regno Unito ha partecipato molto spesso con distacco alla politica europea ed è per questo che in Inghilterra il fronte euroscettico o antieuro non coincide solo con gli estremismi di destra. Se da una parte ieri ha gioito Nigel Farage, leader dell’Ukip, un po’ il Salvini inglese con più stile («Preferirei un paese più povero e con meno crescita, in cambio di meno immigrati»), dall’altra è felice Boris Johnson, esponente del Partito Conservatore e per 8 anni sindaco di Londra, nonché amico e sostenitore di Barack Obama, fattore senza dubbio singolare per un Tory. Quindi, dicevamo, questo distacco che è sempre esistito fra Regno Unito e Ue ha permesso la nascita di un movimento antieuro anche lontano dagli estremismi, elemento assente in Francia (dove il partito più agguerrito è il Front National di Marine e Marion Le Pen) e in Italia. Nel nostro paese a sbraitare contro l’Europa sono ormai solo la Lega e Fratelli d’Italia, mentre i 5 Stelle — nonostante la discutibile alleanza europea con Farage — intendono uscire dall’euro e ricostruire dall’interno un’Unione nuova.
Visto che la Brexit è un caso unico nella storia, ancora non possiamo sapere quali saranno le conseguenze di questo referendum: ci aspettano 2 anni di trattati fra l’Ue e il successore di David Cameron, il primo ministro dimessosi ieri perché favorevole al «remain». È difficile stabilire con certezza se e per chi questa uscita sarà un vantaggio. Possiamo invece affermare con sicurezza che l’Unione è una barca che affonda, e alcuni passeggeri non possono scappare, quindi sarebbe bene ripararla.