Dal Sahel alla Siria: le potenze occidentali alimentano guerra e terrorismo

Oggi partiamo per un viaggio virtuale in direzione Africa sub-sahariana. Ci fermiamo nel Sahel, una vasta area che si estende da una costa all’altra del continente, delimitata dal deserto a nord e la savana a sud. La sua conformazione è particolare, poiché racchiude in molti casi non interi stati, ma parte di questi: il sud della Mauritania, il centro del Mali, la parte meridionale dell’Algeria e del Niger, la parte settentrionale della Nigeria e del Camerun, ad esempio.

Dal punto di vista politico, nel 2014 è sorto un organismo che punta al coordinamento della cooperazione in questa regione: il G5 Sahel. Composto da, appunto cinque Paesi, che sono  Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger, esso si propone di stabilire strategie comuni per lo sviluppo e la sicurezza. Quello della sicurezza è un tema più che mai attuale e sentito in questa zona del mondo; infatti, il terrorismo di matrice islamica sta mettendo a ferro e fuoco il Sahel, destabilizzandolo e mietendo sempre più vittime.

I Capi di Stato che ne sono membri, a fine settembre, hanno lanciato un grido d’allarme a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti. A dire il vero, il G5 Sahel è più un progetto teorico e di buoni intenti che un’entità effettivamente determinante e solida. Lo si comprende chiaramente dalle parole del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che in occasione dell’incontro coi leader di quest’area ha dichiarato: «Il G5 Sahel non è ancora operativo per mancanza di finanziamenti, nonostante le promesse».

La critica non è rivolta ai presidenti africani, i quali hanno tutto l’interesse di costruire un’unione efficiente per far fronte agli attacchi jihadisti, bensì alle potenze europee. Esse sono accusate di non aver contribuito in modo consistente al contrasto al terrorismo in Africa, non destinando risorse economiche adeguate, non supportando attivamente le popolazioni e i governi che sono colpiti da questo sciagurato fenomeno.  Quella di Guterres è senza dubbio una frecciata aspra, ma tutto sommato non troppo graffiante. Qualcuno, invece, ha osato molto di più, spingendosi ben oltre la descrizione degli europei come insensibili alla lotta contro l’Isis.

Infatti, per il Presidente nigerino Mohamadou Issoufou, se il Sahel è insidiato dai terroristi, la responsabilità va principalmente ricondotta alla Francia. Parigi nel 2011 abbatté il  Colonnello Gheddafi, ma non si occupò minimanente delle conseguenze. Dopo aver ultimato i devastanti bombardamenti che tramutarono un florido paese in un cumulo di macerie, le forze alleate abbandonarono la Libia, lasciando che i trafficanti saccheggiassero l’enorme arsenale lì conservato . Un grandissimo numero di armi che ora è detenuto dai guerriglieri che affliggono il Sahel, che sta vivendo, dicevamo, un’offensiva jihadista senza precedenti sul continente.

Anche in questi giorni l’Occidente si sta rendendo complice di un nuovo atto bellico che romperà un altro già precario equilibrio: quello siriano. In lenta e ancora minacciata fase di ripresa, la Siria sta subendo l’attacco dell’esercito turco, riportando le prime vittime tra i civili inermi. Erdogan dichiara di voler sconfiggere i curdi, a cui, al contrario, si dovrebbe eterna riconoscenza per come si sono prodigati, a costo di tante vite umane, contro l’avanzata del califfato islamico. Trump ha indirettamente espresso il suo beneplacito, facendo sgomberare le truppe statunitensi dalla Siria. L’Unione Europea si  è limitata a timide affermazioni di contrarietà all’intervento armato deciso dal premier turco, ma senza scomodarsi eccessivamente. Assad resisterà all’ennesimo tentativo di annientare la sua repubblica laica e socialista?

L’unico dato incontrovertibile è che assisteremo a un altro cruento conflitto, che pagheranno i cittadini siriani che sono rimasti vivi e in patria, nonostante otto anni di bombe e spari. Daesh avrà la possibilità di riaffermarsi mentre i curdi saranno impegnati a difendersi dai soldati di Ankara. Altri profughi si riverseranno sulle nostre coste. Ma questo per i nostri Governi non rappresenta certo una bega, viceversa è una risorsa: altrimenti, si mobiliterebbero per arginare terrorismo e guerre.