Democrazia diretta e Costituzione: i contenuti della riforma

«Avrei cercato un Paese in cui il potere legislativo fosse comune a tutti i cittadini; infatti, chi può sapere meglio di loro sotto quali condizioni convenga loro di vivere insieme in una società?». Jean-Jacques Rousseau, Origine della disuguaglianza, 1745.

Teatro Smeraldo di Milano, 4 ottobre 2009. Un comico riccioluto, Beppe Grillo, presenta il programma del neonato Movimento 5 stelle. È un momento storico per me, giovane sedicenne che segue il suo blog e conosce i suoi spettacoli. Un passaggio lo ricordo bene:«Obbligatorietà della discussione parlamentare delle leggi popolari: dev’essere obbligatorio, se facciamo una legge popolare, che questa debba essere discussa dal Parlamento non messa in un cassetto per anni. Obbligatoria la discussione!».

A quasi dieci anni di distanza dalla presentazione dell’utopia, ci ritroviamo a commentare l’approvazione in prima lettura della riforma che inserisce in Costituzione questo risultato. Approfondiamo la riforma che tocca gli articoli 71 e 75.

Il risultato tanto auspicato da Grillo troverà attuazione al raggiungimento dell’approvazione definitiva, in quanto si inserisce in Costituzione un limite massimo di 18 mesi per l’approvazione parlamentare di una legge di iniziativa popolare. Superato quel limite massimale, ci sarebbe l’indizione di un referendum che rimetterà al popolo la decisione finale sul testo. Nella fattispecie, il quorum sarebbe fissato al 25% degli aventi diritto al voto. C’è però una seconda opzione contemplata nella riforma: il Parlamento avrà la facoltà di depositare una proposta di legge parallela che, se approvata, farà indire un referendum popolare su tutte e due le proposte, quella popolare e quella parlamentare (salvo rinuncia dei promotori della legge popolare). Verrà in tal caso promulgata la legge che avrà ottenuto il maggior numero di voti. L’elettore soddisfatto da tutte e due le proposte potrà comunque indicare il testo che preferisce.

In quel programma presentato da Grillo c’erano anche i famosi referendum sia abrogativi che propositivi senza quorum. Nella proposta di riforma, per giusta mediazione parlamentare, si è trovato un accordo che riforma l’articolo 75 abbassando il quorum anche nel referendum abrogativo al 25% degli aventi diritto al voto (rispetto all’attuale 50%).

Entrando nei dettagli di forma, la valutazione sull’ammissibilità del referendum sarà esaminata dalla Corte Costituzionale. Su richiesta dei promotori, la valutazione potrà avvenire già al raggiungimento di 200 mila firme e comunque precedentemente rispetto alla presentazione della proposta di legge alle Camere.

Speriamo che la riforma possa arrivare a compimento nei prossimi mesi, magari già in Parlamento, perché una riforma costituzionale deve trovare la più ampia condivisione possibile. Se il tetto dei 2/3 non dovesse essere raggiunto, sarà la democrazia diretta a sancire la validità o meno di una riforma atta a incrementare l’incidenza popolare nelle scelte politiche della Repubblica.

Per approfondimenti: http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.1173_A.18PDL0032810.pdf