Distopie politiche: gli Stati Uniti d’Europa

Utopie e distopie. Temi più volte trattati nei precedenti articoli. Per dare concretezza all’argomentazione, si approfondirà l’utopia politica per eccellenza: gli Stati Uniti d’Europa. L’utopia e la distopia sono concetti soggettivi: un progetto può assumere tratti utopici o distopici in base a chi lo analizza. Si vuole superare la classica analisi politica sul tema, troppo spesso basata su paraocchi ideologici, servendosi di chi osserva i fenomeni dall’alto: la geopolitica.

Partendo da un’ottica sovranista, l’opposizione classica agli Stati Uniti d’Europa si sviluppa – nella stragrande maggioranza dei casi – palesando gli ostacoli giuridici presenti negli stessi Trattati dell’UE. Un esempio su tutti: secondo l’articolo 125 del TFUE, l’Unione Europea non risponde delle obbligazioni contratte dagli Stati membri e nessuno Stato membro risponde delle obbligazioni contratte da tutti gli altri Stati membri. Un’argomentazione che fila molto bene: palesa l’impossibilità attuale della condivisione del debito pubblico tra gli Stati dell’Unione, con tanti saluti al progressivo percorso di omogeneizzazione e condivisione dei rischi. Tuttavia, questa modalità di argomentazione lancia il barattolo in avanti nella speranza di un harakiri tedesco: un’utopica modifica dei Trattati con tempistiche a babbo morto, che la Germania dovrebbe autoinfliggersi perdendo la posizione dominante conquistata nel tempo.

Fin qui, la classica argomentazione economico-giuridica sovranista. Ma si vuol fare un passo in avanti.

https://www.youtube.com/watch?v=fKty5ZmJWDI

Il video allegato contiene una minuziosa analisi geopolitica dello specialista Dario Fabbri che, con una prospettiva poco sognatrice e molto razionale derivatagli dal suo campo di studi, ricostruisce il processo di formazione di ogni nazione (arrivando sul tema Stati Uniti d’Europa).

L’analisi di Fabbri è molto più efficace rispetto alla disamina precedente, perché entra in un campo meno suscettibile a manipolazioni logico-argomentative: la cultura. La nascita degli Stati Uniti d’Europa passerebbe da un processo culturale, spesso sottovalutato dagli europeisti nella sua dirompente portata. Ciò porta a ritenere – o voler far apparire – questo processo fattibile al di là di ogni ragionevole dubbio. Come la storia dei Trattati insegna, parrebbe che gli europeisti, ingenuamente o furbamente, credano di poter decretare su carta la nascita della nuova nazione come si trattasse di una votazione al Consiglio Europeo. Insomma, un semplice passaggio formale con cui definire diritti e doveri del nuovo popolo europeo. Le cose, fortunatamente per l’opposizione, non stanno così.

Una nazione nasce dall’imposizione cruenta, fisica, di un ceppo originario che si dimostra dominante su altri ceppi minoritari. Da questa dominanza, i ceppi minoritari subiscono un’annessione. Essa, col tempo, sviluppa il passaggio successivo, l’assimilazione al ceppo dominante, basata sull’assorbimento della cultura e dei costumi del dominus. In questo modo, il ceppo originario cresce di potenza e si espande. L’unificazione europea si svilupperebbe con un processo fortemente nazionalista. Su questo la Storia ha già parlato, richiamando i tentativi di Napoleone e Hitler. Comprendere le differenze tra nazionalismo e sovranismo – ben celate dagli europeisti – è vitale: il sovranismo non passa dall’imposizione della propria cultura ad altri popoli, ma dall’applicazione del modello sociale più consono a ciascuna collettività.

Il nodo successivo vien da sé: come arrivare alla determinazione del ceppo culturale dominante attorno al quale imporre la resa alle altre culture nazionali? Serve comprendere quali siano gli elementi costitutivi di un popolo; e per chi e per cosa i singoli componenti siano disposti a sacrificarsi per un sentimento più alto dell’individualismo. Questi elementi non sono riconducibili ad aspetti economicistici e utilitaristici – perni centrali del sogno unitario europeo per questioni competitive. Gli individui si elevano a popolo reggendosi sul senso d’appartenenza e su una cultura comune. E su questo muro, il sogno, si infrange anche – guarda caso – a livello di Trattati: la Germania si batte per vincere la competizione di concorrenza, lo fa accumulando surplus che le permettano di sostenere, via welfare state, le sue profonde divergenze interne. Si tratta di un contesto nazionale, l’unico disposto alla redistribuzione per fini più alti dell’individualismo.

Una chiosa retorica: siete convinti che le costruzioni europee succedutesi nel tempo fossero finalizzate alla creazione degli Stati Uniti d’Europa? La limitazione di sovranità degli Stati è indubbia, ma evidenzia più l’obiettivo di destrutturare alcuni Stati nazionali in funzione dell’affermazione del libero mercato, che non di strutturare uno Stato europeo unitario. Dopo fior di decenni, bisogna pur tirare le somme: non ci sono gli Stati Uniti d’Europa, ma ci sono gli Stati Uniti in Europa. È la globalizzazione.