Femminismo liberale: una lotta monca

È di tendenza comune, nella società moderna, contrapporre sistematicamente in due campi avversi l’uomo e la donna, il maschile e il femminile. Sempre più di frequente, soprattutto nello spazio ideologico della sinistra liberale post-marxista, si tende a tacciare la gran parte degli uomini di sessismo e insensibilità verso le donne, dovuta soprattutto a un’inadeguata istruzione e educazione. Questo comportamento trova le proprie radici all’interno di quella corrente del movimento femminista, nato nella seconda metà del XX secolo, detto «femminismo liberale».

L’analisi condotta dalla «nuova sinistra» evidenzia l’oppressione delle donne, ricondotta primariamente alla mancanza di spazio pubblico, dato il loro primigenio ruolo di accudimento della prole. Le donne, secondo Betty Friednan, una delle figure più rappresentative del movimento, conducevano una vita silenziosa ed erano molto lontane dalle attività che gli uomini svolgevano.

L’obiettivo che si prefiggeva il femminismo liberale era la lotta per la pari opportunità e la dignità delle donne. Questi fini rimanevano concetti abbastanza vuoti, in quanto il movimento si rivolgeva soprattutto alle donne bianche, occidentali, casalinghe della classe media, trascurando di fatto le donne facenti parte di classi sociali ed etnie differenti. L’intenzione principale era l’inclusione sociale delle donne borghesi e istruite nella partecipazione dei vantaggi che gli uomini ottenevano grazie al sistema capitalistico. Non esisteva nessuna considerazione delle donne che venivano escluse in quanto non facenti parte del circuito delle classi agiate della società. La condizione femminile, come viene definita dai marxisti, ossia lo sfruttamento che le donne meno abbienti subiscono in seno alla società capitalistica, viene completamente taciuto e minimizzato.

Oggi si potrebbe dire che buona parte del movimento femminista e della sinistra post-marxista approva e promuove quest’impostazione che favorisce la scissione fra il maschile e femminile. Si tratta di una visione che porta a coltivare, nelle frange di pensiero più estremiste, rancore e odio verso il genere maschile come tale, senza distinzioni. L’aspetto più degradante, probabilmente, è l’imposizione di questa visione del femminismo alle classi meno abbienti, concentrando l’attenzione sui più piccoli aspetti della vita privata.

Il femminismo liberale, infine, si può definire come una lotta monca. Esso, infatti, si concentra su battaglie di secondo piano solamente per nascondere le contraddizioni della classe capitalistica che mettono in seria difficoltà le donne delle classi lavoratrici.