Flat tax, promessa mai mantenuta: meglio così

L’italiano dimentica e lo fa con una velocità sorprendente. Dimentica la storia, la propria lingua e la propria cultura, ma soprattutto dimentica le promesse elettorali non mantenute.
Era il 1994 e Silvio Berlusconi si apprestava a vincere le elezioni per la prima volta anche grazie ad una di queste promesse-supercazzole: la flat tax (aliquota Irpef) al 33% per tutti.
Non appena l’ex-Cavaliere arrivò a Montecitorio, l’idea finì nel dimenticatoio, ma da allora le volte in cui il Presidente di Forza Italia citò o propose l’idea di una aliquota unica si contano in almeno una volta per ogni elezione; inutile dire che il suddetto ha governato questo paese per la bellezza di 3340 giorni, che fanno di lui il Presidente del Consiglio rimasto per più tempo in carica e che di aliquote uniche, nessuno ne ha mai vista l’ombra.
Corre intanto l’anno domini 2018 e la rivoluzionaria idea di Forza Italia e Lega in merito al fisco italiano è, ancora una volta, la flat tax.
L’ idea di leghisti e forzisti si fonda sul pensiero dell’economista americano Friedman, ovvero un sistema fiscale basato su un meccanismo non progressivo, con una aliquota fissata tra il 23 ed il 25% (la Lega propone addirittura il 15%), che non andrebbe a colpire pensionati e persone che hanno un reddito complessivamente inferiore a 13000 euro annui.
Un sistema proporzionale non progressivo, dunque.
Secondo le analisi dei principali esponenti della destra, un sistema fiscale di questo tipo permetterebbe all’ Italia di abbattere l’evasione fiscale e di aumentare il gettito fiscale, oltre che di diminuire la pressione fiscale, nonché di ripagare i costi della misura (stimati in 90 miliardi di Euro) in pochi anni.
La realtà però potrebbe essere ben diversa e lo si può scorgere bene osservando i pochi paesi europei che ne hanno fatto adozione. Islanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ucraina e Albania, hanno abbandonato infatti questo sistema dopo pochi anni, conseguentemente al rischio di bancarotta.
Le opposizioni muovono forti critiche su diversi punti, primo fra tutti la costituzionalità della manovra.
Sembra infatti palese il contrasto con l’art. 53 Cost. che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, progressività che verrebbe meno con l’introduzione della flat tax.
Altro cavallo di battaglia delle opposizioni è l’iniquità di questo tipo di tassazione. La stessa percentuale di tassazione su redditi diversi o molto diversi non avrebbe senso e potrebbe causare un sostanziale aumento di tasse per coloro che guadagnano meno, al netto di una drastica diminuzione di quelle pagate da chi invece guadagna di più.
L’esperienza della Repubblica Ceca insegna infatti che il livello di retribuzione mensile minimo per il quale la flat tax sarebbe vantaggiosa è 2300 euro, mentre tutti quelli al di sotto di tale cifra otterrebbero svantaggi copiosi.
Un’altra critica, tanto fondata quanto pesante, concerne le coperture finanziarie necessarie al sostentamento di una imposta di questo tipo.
In ogni paese in cui sia stata tentata questa strada, infatti, il gettito fiscale nel breve termine (protraendosi poi sempre più) è sempre stato di molto inferiore a quello garantito da sistema per scaglioni, causando una impennata della spesa pubblica e soprattutto una diminuzione degli investimenti pubblici in settori vitali come welfare, sanità ed istruzione e soprattutto una ulteriore crescita del debito pubblico.
Non è da sottovalutare che flat tax significherebbe anche cessazione immediata degli sgravi fiscali come le detrazioni per i figli a carico, le spese mediche e le restrutturazioni, altra vera e propria mazzata sulle spalle di chi meno guadagna e meno possiede.
Per concludere, risulta ovvio a tutti che il sistema attualmente in vigore in Italia andrebbe riformato, snellito e soprattutto che le imprese dovrebbero essere facilitate nell’ assumere dipendenti, ma questo non può essere fatto sulle spalle di milioni di italiani che non hanno la fortuna di rientrare nell’elite dei conti bancari.