L’intervista, Furio Colombo: dopo la Shoah, il male c’è ancora

Furio Colombo, ex direttore dell’Unità ed ex senatore Pds, ogni giorno risponde ai lettori sul Fatto Quotidiano. Pochi giorni dopo la giornata della memoria, abbiamo deciso di sentire anche il suo parere in proposito, da persona da sempre impegnata – anche ma non solo a causa della sua origine ebraica – nella divulgazione della memoria dell’olocausto.

Se abbiamo una giornata della memoria è proprio grazie a lei. Come si è svolta la vicenda in parlamento?
Ci sono voluti cinque anni, perché non essendo una legge proposta da un partito ma da una persona, cioè scritta e presentata da me, non sempre è stata una priorità. Quando le proposte di legge passano al vaglio della conferenza dei gruppi, quella che decide di cosa si discuterà in aula quel giorno, valgono sempre le necessità o le volontà di partito. Questa legge, nonostante fosse vista con amicizia da tutti i deputati dell’Ulivo, non era tra le priorità di tutti i partiti. C’è poi la questione della data. Io avevo proposto due bozze, una per istituire la giornata della memoria il 16 ottobre, l’altra il 27 gennaio. La prima, che si riferiva al 16 ottobre 1943, mi sembrava il simbolo più alto di cosa l’Italia avesse fatto ai suoi cittadini. Quel giorno nel ghetto di Roma ci fu una razzia di tutti gli ebrei, 1117 per la precisione, dai bambini ai vecchi morenti legati alle loro poltrone. Ho poi cambiato scegliendo la seconda proposta, perché la comunità ebraica italiana mi ha fatto presente che in questo modo ci saremmo isolati, occupandoci solo di ciò che era accaduto a Roma. Il 27 gennaio è la data di abbattimento dei cancelli di Auschwitz, quindi come giorno era più adatto a comprendere tutti i delitti commessi: oltre a 6 milioni di ebrei ci furono anche rom, omosessuali, dissidenti politici e disabili. Ho trattato personalmente con Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi, cercando di renderlo un accordo tra persone e non tra partiti. Questo accordo l’ho trovato, Forza Italia ha votato insieme alla sinistra, e la votazione è stata unanime, proprio come lo fu la votazione delle leggi razziali durante il regime fascista.

Quali sono allora le responsabilità italiane in uno dei genocidi più gravi della storia?
Il 16 ottobre 1943 furono i tedeschi a svuotare tutte le case del ghetto. Poterono farlo però solo grazie a tutte le carte, le informazioni e gli indirizzi ricevuti dal regime fascista. La Shoah è diventato un delitto italiano nel momento in cui Benito Mussolini ha imposto la votazione delle leggi razziali, e il re Vittorio Emanuele III le ha firmate. Fu l’unico re in Europa a firmarle, e da quel momento Hitler ha potuto avere un appoggio fondamentale. La Germania da sola non avrebbe mai potuto imporre le leggi razziali al di fuori dei suoi confini. Controprova di quello che sto dicendo, è che il parlamento fascista bulgaro non ha votato le leggi, e infatti nessun ebreo bulgaro compare nelle liste dei campi di concentramento. Dovevamo prenderci la responsabilità di essere stati complici indispensabili del genocidio. Se in Italia la burocrazia era totalmente nel caos, le operazioni di polizia per applicare le leggi razziali furono invece assolutamente precise e ben organizzate. Così come noi riconosciamo e troviamo orrendi i gulag, o quello che hanno fatto i Khmer Rossi (Cambogia, ndr), dobbiamo riconoscere i delitti italiani.

Cosa si faceva prima della giornata della memoria?
Nulla, assolutamente nulla. Non c’erano date, niente. Naturalmente c’erano insegnanti di scuole medie e superiori che di loro iniziativa invitavano storici o sopravvissuti per parlare alla classe. Lo facevano non in un giorno particolare, ma durante l’anno scolastico, magari in parallelo con il programma. Per fortuna, buoni insegnanti ci sono sempre stati. Io ricordo però che nell’immediato dopoguerra, insieme al mio compagno di banco Edoardo Sanguineti, chiedevo al professore di italiano, un leader della resistenza, di parlare non solo della liberazione ma anche delle leggi razziali e delle persecuzioni. C’era questo equivoco per cui la Resistenza avrebbe lavato tutte le colpe del passato. Per anni la vita politica italiana è stata segnata da questa illusione, ma non è solo un caso se sulle lapidi delle fosse ardeatine prevalgono di gran lunga nomi di prigionieri politici ebrei.

Ci sono ancora dei punti di ombra? Qualcuno che non ha ancora pagato per i suoi crimini?
Certamente ci sono, nessuno di noi sa ancora come tanti leader nazisti siano riusciti a fuggire e scomparire con così tanta facilità in un’Europa totalmente assediata dalle truppe americane. Uno su tutti, il caso di Priebke (Erich Priebke, ndr), ritrovato in ottima salute in America Latina anni dopo l’olocausto. Questo e tanti altri casi ci fanno capire capire quante cose si siano sistemate tra alcuni poteri, che si sono aiutati a vicenda per cancellare il passato.

Sami Modiano, Shlomo Venezia, Liliana Segre, Pietro Terracina, sono solo alcuni degli italiani sopravvissuti ai campi di concentramento. Qual è stato il suo rapporto con loro?
Certo, dagli anni duemila in poi. Ho conosciuto uno a uno tutti i sopravvissuti, partecipando con loro a tutti gli eventi e le commemorazioni. La vicenda di Milano è stata importante. A Milano c’era un binario sotterraneo, il numero 21, ritrovato e preservato storicamente, da cui partivano i convogli per Auschwitz. Questa è solo una delle occasioni in cui abbiamo condiviso le loro storie.

Oggi abbiamo qualcosa che prima non avevamo: internet. Che ruolo ha questo nuovo elemento?
Il vero tormento che abbiamo non è la rete, che è allo stesso tempo giusta e falsa, e diffonde le cose migliori e peggiori con la stessa autorevolezza. La cosa peggiore è avere una politica debole che dovrebbe orientare i cittadini, perché questo è un loro diritto, ma non lo fa. Quasi tutte le notizie diffuse sui migranti sono false. In più oggi i rimasugli di destra rimasti intorno a Casapound e Fratelli d’Italia sono peggiori di quello che c’erano allora, quando proposi la legge.

C’è un reale pericolo di razzismo oggi? Cosa possiamo fare per contrastarlo?
Prima di tutto, fare quello che sta facendo lei. Chiedere, informarsi, parlare, non fermarsi mai. Oggi sta tornando quella forma di razzismo, solo che si manifesta in altri modi. Il gioco più scoperto per il momento è quello ungherese, dove Orban (Viktor Orban, primo ministro dell’Ungheria, ndr) è a capo di una destra apertamente filonazista, che si appoggia a un partito altrettanto nazista. L’Europa è piena di striature che riportano nel presente l’orrore del passato, se possibile replicandolo. Che l’Ungheria sia il paese precursore di questo lo abbiamo visto quando quella ragazza, Petra Laszlo, che diceva di essere una giornalista, non appena avvistava un papà o una mamma con un bambino mentre cercavano di attraversare il confine, dava un calcio alla caviglia in modo da farli cadere faccia avanti nel fango. Il privilegio del male è avere sempre facce diverse ogni volta, e così diventa irriconoscibile. La storia però si ripete.