La felicità. Freud o Epicuro, chi aveva ragione?

Sin dagli albori della sua esistenza, l’uomo, consapevole delle innumerevoli peripezie che si nascondono nel corso della propria esistenza, si è sempre domandato quale fosse il fine della vita. Si è sempre interrogato di come alleviare le proprie sofferenze e allo stesso tempo quali scelte intraprendere per avere una vita piena e serena. Nella storia della filosofia e della letteratura, il dibattito sulla felicità è stato affrontato da vari autori, tra cui Aristotele, Dante, Leopardi e tanti altri ancora. In particolare, spiccano due visioni molto diverse, di due filosofi di epoche molto lontane: Sigmund Freud (1856-1939) e Epicuro (fine IV sec. – inizio III sec.)

Secondo Freud, la felicità è un’eterna tensione che si muove sul filo tra Eros e Thanatos, ovvero tra la pulsione di vita e la pulsione di morte. La Pulsione di Vita, detto anche principio di piacere è rappresentata da tutte quelle emozioni e sensazioni che ci spingono a una costruzione del sé, a un atteggiamento positivo verso la vita stessa. La Pulsione di Morte, Thanatos è l’opposto dell’Eros, la forza che tende a portarci all’autodistruzione, all’annullamento di ciò che siamo. Entrambi sono mediati dal principio di realtà, ossia la forza che regola il principio di piacere o di distruzione in base alle regole che ci vengono imposte dall’esterno. La felicità è l’equilibrio sano fra questi elementi, il principio di piacere che deve essere soddisfatto, ma allo stesso tempo controllata dal giudizio dell’Io, per non eccedere in una forma di piacere priva di qualsiasi regola e che alla lunga porta inevitabilmente all’infelicità. D’altronde come spiega Carmelo Bene, nel celebre «Uno contro tutti» dell’edizione del Maurizio Costanzo Show del 1994, soddisfare completamente il piacere, lascia a volte un senso di amarezza, di vuoto che poi è difficile da colmare e nel momento in cui il piacere viene soddisfatto, come accade nella teoria dell’orgasmo, molte volte, subentra l’insoddisfazione, il senso di colpa.

Per quanto riguarda Epicuro, nella sua famosa «Lettera sulla felicità», ci ricorda di come per essere davvero felici occorra soddisfare quei desideri primari ed essenziali come nutrirsi, comunicare con il prossimo, costruire un nido che ci permetta di sconfiggere il pensiero della solitudine ed essere circondati da persone ci stimano e che ci amano profondamente.  La felicità, quindi, si lega ai piaceri naturali necessari, ossia quelli che strettamente indispensabili all’uomo per condurre una vita quieta e serena. Il filosofo greco ritiene inoltre che bisognerebbe rifiutare il desiderio di soddisfare quei piaceri superflui come la brama di ricchezza e di potere, che infin dei conti sono inutili, oltre che dannosi, perché portano molte volte a coltivare il desiderio di accumulare beni materiali non necessari.

Probabilmente la ricetta della felicità, semmai esistesse, potrebbe essere la sintesi di queste due concezioni che, per quanto differenti, possono servire da insegnamento. Per essere davvero felice, l’uomo dovrebbe sia stimolare il principio di Eros in modo sano, senza cadere in eccessi che possono anche rivelarsi pericolosi, che riuscire coltivare quei piaceri come la lettura, la conoscenza, che permettono di arricchire lo spirito, oltre al bagaglio culturale.