Sergio Mattarella, il presidente de «La Repubblica»

Sono state 538 le schede bianche al termine della prima votazione per la presidenza della Repubblica, 120 quelle per il candidato pentastellato Ferdinando Imposimato, 49 per Vittorio Feltri (proposto da Lega e FdI) e solo 5 per Sergio Mattarella. Quest’ultimo è la scelta di Matteo Renzi e del Pd ed è probabilmente colui che sabato diverrà il successore di Napolitano al Quirinale. Sorvoliamo (almeno parzialmente) sul vergognoso modus operandi voluto da Renzi: fare melina con la scheda bianca durante le prime tre votazioni (in cui si deve raggiungere la maggioranza qualificata) per poi sparare Mattarella alla quarta (con maggioranza assoluta); concentriamoci piuttosto su Sergio Mattarella la cui candidatura, a detta del presidente del Pd Matteo Orfini, dovrebbe essere accolta da tutti perché «non c’è motivo per non votarlo».
Mattarella, classe 1941, ha alloggiato alla Camera dal 1983 al 2008 fra le fila della Democrazia Cristiana, del Partito Popolare e della Margherita. Ministro dei rapporti con il Parlamento, della Pubblica Istruzione e della Difesa (rispettivamente sotto i governi Goria-De Mita, Andreotti e D’Alema-Amato), dal 2011 è giudice della Corte costituzionale. Padre della legge elettorale a cui ha anche dato il nome (
mattarellum), si è conquistato l’antipatia di Silvio Berlusconi dimettendosi dall’incarico di ministro della Pubblica Istruzione nel 1990 per protestare contro la fiducia imposta dal governo sul disegno di legge Mammì, gentile omaggio offerto a Mediaset.
In molti però si sono dimenticati che Mattarella ha confessato a suo tempo di aver accettato un contributo elettorale da tale Filippo Salamone, conosciuto da tutti come il costruttore affiliato alla mafia in Sicilia. Parlando invece della famiglia, oltre al fratello Piersanti ucciso da Cosa Nostra nel 1980, c’è qualche «zona d’ombra» che andrebbe approfondita: il fratello Antonino negli anni ’90 è stato indagato per associazione mafiosa e riciclaggio, anche se l’inchiesta è stata archiviata nel 1996 per mancanza di prove per quanto riguardava l’origine del denaro. Il nipote Bernardo, figlio di Piersanti, è invece indagato per peculato sui rimborsi da deputato della Regione Sicilia. Una bella famigliola proprio. Non vogliamo fare le pulci anche ai familiari dei politici, però il Capo dello Stato non può essere ricattabile, e questo riguarda anche i suoi parenti.

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Chi non si è accorto di tutti questi piccoli particolari è il quotidiano di Ezio Mauro: l’edizione di oggi de La Repubblica è un coro unanime di lode a Mattarella e a Renzi che l’ha candidato. Il giornale apre con «Renzi: il nome è Mattarella», neanche fosse la parola del messia. Del ritratto del potenziale inquilino del Quirinale si occupa Sebastiano Messina; vi riportiamo qualche frase significativa: «A Montecitorio lo conoscono in pochi» ma «si fa presto a descriverlo. Avete presente Renzi? Bene, Sergio Mattarella è il suo esatto contrario»; «“In confronto a lui, Arnaldo Forlani (ex Dc, noto per la sua immobilità politica, ndr) è un movimentista”, disse una volta Ciriaco De Mita, che lo conosce meglio di tutti perché 28 anni fa lo nominò ministro». Che un partito progressista come il Pd voti un «immobilista» è abbastanza sorprendente, ma ancor più sorprendente è la relazione causa effetto intessuta da Messina: se ti nomino ministro, allora ti conosco più di chiunque altro. Sebastiano era in vena di iperboli.
Passiamo a
La quadratura del cerchio, articolo di quella gran penna di Stefano Folli: «Alla fine la scelta ha preso forma. Nessun patto di ferro; nessun nome segreto concordato fra Renzi e Berlusconi, come i cultori di fantapolitica avevano ipotizzato; nessun coniglio estratto a sorpresa dal cilindro del prestigiatore. Più semplicemente la logica ha prevalso». E poi tutta la storia di Mattarella dove inspiegabilmente manca la questione del contributo elettorale preso da Salamone.
Dulcis in fundo concludiamo con la punta di diamante de La Repubblica Francesco Merlo che si lancia in una lode incondizionata del candidato di Renzi al Quirinale: «Una volta, tanti anni fa, Sergio Mattarella mi disse di ammirare molto il poeta Camillo Sbarbaro “che voleva scendere dal marciapiede per evitare che il rumore dei passi richiamasse l’attenzione»: alle mille parole Egli «risponde con benevoli suoni gutturali». «Mattarella è uno di quei campioni del silenzio che sono molto più numerosi e importanti di quel che si crede nell’Italia delle chiacchiere, e cito a caso il sardo Berlinguer, il bresciano Martinazzoli, Alessandro Manzoni, Luigi Einaudi, Enrico Cuccia, ma anche Totò, Battisti, Mina e ancora Sciascia, Bufalino e i Sellerio». «Ed è inutile dire che il silenzio è dei solitari, e la sottigliezza è invece seduzione eloquiale, salotto nel senso di comunità intellettuale allegra, spiritosa e trasgressiva». La lingua di Merlo continua a battere sul tamburo.
Non sappiamo se Sergio Mattarella diventerà presidente della Repubblica, ma di certo è già il presidente de
La Repubblica.

Tito G. Borsa