«I migliori di noi», parliamo con l’Autore: Andrea Scanzi

I migliori di noi
Andrea Scanzi
Rizzoli – 2016 – 17 euro

«Se scriverò un altro libro di sicuro farò un romanzo perché non ho più voglia di scrivere biografie o saggi: ne parlo così tanto sul Fatto e in televisione che mi romperei le palle a parlare di Renzi, Grillo, Pd, 5 Stelle, Lega anche nei libri», così ci eravamo lasciati con Andrea Scanzi, scrittore, giornalista, firma del Fatto Quotidiano e tante altre cose, parlando del suo romanzo uscito nel 2015, La vita è un ballo fuori tempo. Era il giugno scorso e Scanzi ha confermato la propria previsione: I migliori di noi, uscito da poco con Rizzoli, è un romanzo e, come ci dirà lui stesso, con la politica c’entra davvero poco.

andreascanzi

I migliori di noi è un po’ un ritratto dell’età che avanza con chi inizia a sentirsi vecchio e chi cerca, anche in modo tragicomico, di opporsi allo scorrere del tempo. Riconosci il tuo libro in questa breve descrizione?
Anche. Evidentemente deriva da qualcosa che ho un po’ dentro io senza accorgermene perché anche nei titoli spesso compare la parola «Tempo»: C’è tempo, Non è tempo per noi. C’è sempre questa scansione del tempo. Detta così sembra che io stia dalla mattina alla sera a dire «Oddio, sto invecchiando». Ma non è così, anzi: credo che questo sia il tempo della mia vita più bello che abbia mai vissuto. Però hai ragione: mi piaceva raccontare di due amici che vivono questo scorrere del tempo in maniera molto diversa, perché uno dei due lo vive con serenità, mentre l’altro si tinge i capelli, si bombarda di acido ianuronico e di creme di tutti i tipi, cazzeggia, passa da una donna all’altra, con i pregi e i difetti di un eterno giovane. E di essere un po’ ridicolo e caricaturale nel corso del libro se ne rende conto.

Tu in quale dei due modelli ti identifichi di più?
Io sono costantemente l’uno e l’altro: credo che come molti ho una vita in cui in alcuni momenti mi sento una persona realizzata e felice e che sta bene anche nel non fare niente, che ama la sua quotidianità e si accontenta delle piccole cose pur con il rischio di lasciarsi sopravvivere. A volte c’è anche la dimensione di quello che vuole mangiare la vita, fare un sacco le cose, rimanere un po’ immaturo e irrazionale. Credo e spero di riuscire a conciliare le due cose.

Dalla immaginaria Lupinia di Non è tempo per noi sei passato ad ambientare il romanzo nella tua Arezzo. C’è un motivo particolare?
Scrivendo questo secondo libro mi sono reso conto che non dovevo complicarmi la vita e che questa storia poteva svolgersi in una realtà iperterrena come Arezzo. Mi faceva piacere che i lettori aretini si riconoscessero nelle viuzze, mentre quelli non aretini fossero incuriositi 3840991-9788817090124-201x300da Arezzo. Nei libri che ho amato di più c’era quasi sempre lo scrittore che parlava della sua città: Saramago di Lisbona, Fenoglio di Alba e potrei andare avanti a lungo. Io non c’entro niente con questi esempi, però cerco di far scattare l’effetto curiosità, che è quello che questi scrittori hanno fatto scattare in me. Oltre a questo, non ti nascondo che nel mio piccolo mi piaceva dedicare un libro alla mia città: con tutti i difetti di una città di provincia, ma che è bellissima anche se non da tutti conosciuta.

Sempre in rapporto al tuo primo romanzo: qui hai quasi lasciato perdere i giochi anche ridicoli del potere e ti sei concentrato sulla gente comune. È stata una scelta meditata?
È stata una scelta molto meditata. Un po’ mi interessava raccontare il privato delle persone: l’amicizia, la generazione dei cinquantenni ma non solo e così via. Lo diceva Gaber negli anni Ottanta: c’è il tempo della rivoluzione e il tempo in cui si parla dell’albero, che in questo caso è la quotidianità. Un altro motivo è che quando scrivo libri tendo a liberare la testa anche dalla politica: parlarne anche nei romanzi mi parrebbe una forma di masochismo. Oltre a tutto questo, sono in una fase in cui mi sento molto spento dal punto di vista politico, che non vuol dire abbracciare il disimpegno. Quando ho scritto La Vita è un ballo fuori tempo il fuoco della politica ce l’avevo ancora abbastanza acceso: ora quando parlo di politica mi diverto poco e il livello di appartenenza è sceso sotto terra e quindi faccio un po’ fatica ad appassionarmi e anche a parlarne.

Nei tuoi romanzi sono poi sempre protagonisti i cani.
I cani hanno varie valenze nel libro: io non riesco a scrivere storie senza cani come non riesco a vivere senza almeno un cane accanto, ognuno ha le sue debolezze. Un po’ c’è anche un espediente narrativo: il cane mi serviva per raccontare degli aspetti del protagonista che il protagonista non vuole raccontare apertamente. I cani hanno anche questa grande valenza: riescono a essere credibili in ogni cosa che gli fai fare.

So che ti piacciono le scommesse: due domande secche. Quante copie del libro venderai entro Natale?
Non lo so, spero di fare almeno altre due ristampe, quindi intorno alle 20mila copie. Sarebbe un ottimo risultato vicino al precedente che si è fissato intorno alle 30mila. Se bissassi il precedente sarei molto contento.

Sei sempre sicuro che al referendum vincerà il «Sì»?
Purtroppo ne sono convinto. La mia certezza sulla vittoria del «Sì» è fondata per una piccola parte sulla scaramanzia che mi fa dire anche il Milan perde sempre. È un’abitudine che ho fin da ragazzo: è quella scaramanzia che ti porta ad alleggerire la tensione. Al di là di questo, credo che vincerà il «Sì» perché quasi tutta l’informazione è dalla parte di Renzi, perché chi non sa niente di questa riforma, ossia la maggioranza, crederà al messaggio secondo cui vince il cambiamento e quindi qualcosa cambia. Un messaggio che funziona di più del mantenere lo status quo. Credo anche che la maggioranza silenziosa che non si espone e non parla mai di politica ma va a votare, il 4 dicembre, prima di andare a pranzo dai suoceri, voterà senza sapere una mazza e voterà «Sì» perché gliel’ha detto il Tg. Il «Sì» vincerà con una forbice che va dal 51 al 55%. Se sbaglierò sarò felicissimo ma non credo di sbagliare.