In morte del Pd, rendiamo grazie a Renzi

Il Pd è a pezzi, alla ricerca della giusta direzione da prendere dopo i ballottaggi del 25 giugno. Ve l’avevamo mostrato a proposito del primo turno delle amministrative: il centrosinistra «nazionale» nei capoluoghi di provincia ha perso 58mila voti, il 24% rispetto alle ultime consultazioni in quei comuni, ed è risultato competitivo solo grazie alle liste civiche. Ecco infatti che pezzi grossi come il titolare del MiBact Dario Franceschini e l’ex segretario Walter Veltroni iniziano a dare chiari segnali di insofferenza, e al coro si aggiungono Andrea Orlando, Nicola Zingaretti e Gianni Cuperlo.
Dopo 4 anni e mezzo, la leadership di Matteo Renzi viene messa in discussione non dai soliti noti, nel frattempo confluiti in gran parte in MdP, bensì da personaggi di primo piano che hanno appoggiato l’ex premier. «Il Pd è nato per unire il campo del centrosinistra non per dividerlo», ha tuonato Franceschini su Twitter, commentando i risultati delle amministrative. Renzi, dopo giorni di silenzio (o quasi), risponde a tono: «Noi abbiamo vinto le primarie con quasi due milioni di partecipanti» e ancora «Ma se invece qualcuno vuole riportare le lancette al passato quando il centrosinistra era la casa delle correnti e dei leader tutti contro tutti, quelli che al mattino stavano in consiglio dei ministri e al pomeriggio in piazza a manifestare contro il Governo, noi non ci siamo».
Il centrosinistra, insomma, torna il caos di un tempo: se Renzi aveva avuto il merito, forse l’unico, di rendere renziano il Pd e «silenti» (volenti o nolenti) molte correnti interne, ora che i risultati mancano non c’è più il sogno realizzato di un centrosinistra vittorioso a unire gli opposti che il Pd per sua natura contiene. L’ultima vittoria, netta e schiacciante, risale alle europee del 2014: quel 40% che ancora viene sventolato, per mascherare una spaventosa sequela di fallimenti. Il referendum costituzionale è stato l’emblema di questo trend, ma anche far rinascere il centrodestra salvin-berlusconiano non è da tutti.
Piano piano, sempre troppo piano, gli elettori si sono accorti che, al di là delle parole, Matteo Renzi non ha fatto granché, e quel poco che ha fatto non è certo in linea con gli ideali della sinistra in cui molti cittadini si riconoscono. Il Pd, da anima unificatrice della sinistra, è passato a essere un grigio partito di centro, e questa trasfigurazione è stata catalizzata dalla segreteria renziana.
Cui prodest? Da una parte il centrodestra, dicevamo, ringrazia e incassa molti successi (vedi Genova, per esempio), ma dall’altra anche i 5 Stelle, probabilmente più a livello nazionale che locale, gioiranno presto dell’harakiri del Pd. O il centro(sinistra) cambia faccia, oppure il suo destino è segnato.